Innanzi tutto, il tema appare strano: il cuore. Ancora più strano, si occupa del rapporto tra il cuore dell’uomo e il cuore di Cristo. E, persino, della devozione popolare a quest’ultimo. Non è un tema frequentato e quindi vale la pena provare a capire le motivazioni che possono riguardare tutti.
Nel corso del testo, Papa Francesco stigmatizza in vari modi la cultura in cui viviamo, accusandone il razionalismo, lo scientismo, l’individualismo, il narcisismo. Da un punto di vista teologico, i corrispondenti avversari sono il giansenismo e lo gnosticismo. Tutti questi nomi complessi indicano una cultura comune che dubita di tutto perché crede solo a ciò che corrisponde ai propri percorsi intellettuali codificati senza accettare che si possa cambiarli e ampliarli, che si chiude nel giro strettissimo della propria autosufficienza che, spesso – contraltare necessario del razionalismo – diventa sentimentale, che si perde in percorsi religiosi disincarnati da ogni comunità, popolo, gesto. Insomma, il Papa ce l’ha con una versione della vita che sono materialiste e utilitariste da un lato e spiritualiste e solipsiste dall’altro. O, in altri termini, la Chiesa ci vede spesso soli, freddi, prigionieri delle nostre immagini di successo e astratti.
La cura del Papa, non sorprendentemente, è l’incontro con Gesù, ma qui – con un po’ più di sorpresa – egli sottolinea la carnalità di Gesù, il Verbo di Dio fatto carne, anzi fatto cuore. Già, perché l’incontro è vero solo se è “da cuore a cuore” (cor ad cor loquitur), cioè se avviene dalla persona di Cristo alla singola persona umana. E qui arriviamo al significato che ci interessa in questo articolo. Che cos’è il cuore? Per il Papa è il centro della personalità, là dove l’anima celeste e il corpo carnale si riuniscono sinteticamente. È anche il luogo sintetico di affezione, ragione e volontà. È il luogo in cui uno sente la propria voce autentica perché, agostinianamente, sente la voce di Dio. È il luogo più proprio perché quello in cui parla l’Essere stesso con le sue caratteristiche di bellezza, bontà, verità, giustizia. Paradossalmente è il luogo più proprio perché è il meno individualista e soggettivo. Quando viene concepito soggettivisticamente, diventa violento, arbitrario, presuntuoso, finendo per essere o schiavo o padrone, ma mai amico. “Stiamo attenti: rendiamoci conto che il nostro cuore non è autosufficiente, è fragile ed è ferito. Ha una dignità ontologica ma allo stesso tempo deve cercare una vita più dignitosa. Per vivere secondo questa dignità…abbiamo bisogno dell’aiuto dell’amore divino” (30).
Così, nell’enciclica il Papa ripropone i suoi temi classici: la religione popolare, con le sue devozioni, non è una follia ma è il portato di una saggezza antica di 2000 anni; la razionalità non può essere solo calcolo ma deve essere conoscenza integralmente umana, cioè aperta alla possibilità di Dio; dell’intelligenza fa parte anche il corpo; la religione cristiana è a sua volta soprattutto Corpo, Incarnazione, Avvenimento, carità, cura. L’enciclica strana se la prende così con tutte quelle forme disincarnate che trasformano il cristianesimo in un percorso fintamente interiore e spiritualista di conquiste morali, di rivelazioni che coincidono con il proprio pensiero, di avventure solitarie e autoreferenziali, chiuse nel proprio discorso fumoso mentre il mondo brucia.
È un tema strano ma molto umano se uno pensa che il coraggio, che ci vuole per vivere in tempi turbolenti, è l’azione o il gesto del cuore. Forse tutti quelli che pensano, professionisti e non, cattolici e non, farebbero bene a farsi qualche domanda sull’argomento.