Pensieri e pensatori in libertà


Paradossi da finale

Sempre interessante cogliere i simpatici paradossi della nostra società che mostrano le asimmetrie tra ciò che si dice e ciò che invece i comportamenti “tradiscono” delle nostre convinzioni. Tanto più ciò è vero nelle grandi manifestazioni globali come quella della finale degli europei di calcio.

Cominciamo dalle dichiarazioni. Gli azzurri spacciano per giorni la favola...

... del giocare “divertendosi”, con spensieratezza. Peccato che dopo 1 minuto finiamo sotto di un goal e tutti, a cominciare dall’allenatore, siano tirati come a una guerra. Mancini è nero e manda i giocatori a quel paese. Meno male, fine della favola della spensieratezza. Si gioca per vincere, poi magari ci si rassegna a perdere. La sportività consiste nell’impararlo.

Gli inglesi, al proposito, non si rassegnano. La famiglia reale non saluta il presidente dell’Italia vincente, i giocatori inglesi si tolgono la medaglia del secondo arrivato, il pubblico e la squadra escono prima della festa italiana. Nessuno scandalo, sono cose che purtroppo abbiamo fatto e facciamo in tutti i Paesi ma fine della favola del fair play, tanto più se di conio british. Il “respect” rimane scritto sulle fasce dei capitani ed è facile solo quando non c’è nulla di importante in gioco.

A proposito del rispetto generale, tutti i giocatori si inginocchiano per solidarietà con il movimento Black Lives Matter, considerato esempio di lotta a stereotipi e razzismo, ma appena cominciato il gioco gli inglesi si lamentano per i tuffi degli italiani e rifiutano la mano per rialzarsi quando viene offerta, gli italiani si lamentano dei tuffi degli inglesi e mostrano di saper usare la f*** word con precisione, i tifosi locali fischiano l’inno italiano e i giocatori italiani li invitano a mangiar pastasciutta. A fine gara, sui social si scatena la rabbia inglese a tinte razziste contro i tre afroinglesi che hanno fallito i rigori. Fine anche della favola della solidarietà interculturale e della lotta agli stereotipi.

Conclusione: e se facessimo una volta al contrario? Non potremmo accettare senza scandalo di essere terribilmente campanilisti e spesso faziosi, insofferenti delle diversità di qualunque tipo, pieni di stereotipi e pregiudizi, e considerare che invece la comprensione è un avvenimento eccezionale, un evento tanto auspicabile quanto raro? Molto di più: non potremmo smettere di cercare di cambiare il mondo obbligando a parole in cui non crediamo e provare invece a chiamare per nome i gesti che facciamo? Forse, a partire dalla realtà, il mondo lo cambieremmo di più, senza scandali e perbenismi, senza ipocrisia e autogiustificazioni.


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In questo numero hanno scritto:

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Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro