Oggi, siamo convinti, per mille motivi, che non ci è lecito sbagliare in nessun campo della vita, sia nella scuola come sul lavoro. Nell’era dei risultati non sono ammesse debolezze e, pertanto, costruiamo ambiziosi ma falsi modelli di educazione e ci rinchiudiamo in gabbie protettive per non lasciare spazio agli errori. Di conseguenza, poiché sbagliare non è ammissibile, non solo ci torna faticoso porre rimedio all’errore, ma ci è ancora più difficile perdonarlo. Earl Miller, che insegna neuroscienze al Massachusetts Institute of Technology, in un suo studio sul comportamento delle scimmie, afferma che, almeno a livello di neuroni, “impariamo più dai nostri successi che dai fallimenti”.
Secondo questa teoria sbagliando non si impara ma si ripetono gli errori. Non accettiamo di essere uomini fragili e fallibili di fronte alla complessità della vita, falsamente persuasi che il progresso scientifico-tecnologico ci renda perfetti, invincibili e onnipotenti. Vittime o figli di un “delirio di onnipotenza” che va di moda, riteniamo perdenti e incapaci quanti commettono errori. Non è che una persona che commette un errore sia una persona sbagliata. Non associamo il valore della persona alla capacità di avere sempre comportamenti perfetti. Se leghiamo il nostro valore ai nostri comportamenti, invece che al nostro essere, ci condanniamo a vivere con ansia.
Ben diversa è l’opinione di Samuel Smiles, giornalista e scrittore scozzese (1812-1904) che, a suo tempo, scriveva: “Impariamo la saggezza molto più dai nostri sbagli che dai nostri successi. Scopriamo ciò che è giusto trovando ciò che non lo è e probabilmente chi non ha mai fatto errori non ha mai scoperto nulla”. In questo senso ci stimola e interroga anche una ricerca scientifica di psicologi dell’Università di Exeter (Regno Unito, Devon), pubblicata sul Journal of Cognitive Neuroscience nel 2007, dove si dimostra che impariamo più dagli errori che dai successi, poiché la sorpresa suscitata dall’errore genera diversità e varietà, permette di sperimentare, di esplorare, facilitando e rinforzando l’apprendimento. Un tempo, abituati a scuola a vederli sottolineati con matita rossa e blu, gli errori ci hanno fatto crescere.
Abbiamo capito, con fatica, che l’uomo può sbagliare. Abbiamo superato le brutte sensazioni di
vergogna e di fallimento, le paure delle conseguenze negative come il brutto voto, la punizione, la
derisione dei compagni di banco. Lo stimolo positivo dell’errore è che può far emergere capacità e
risorse nascoste che ci consentono di riflettere, sviluppando senso critico e maturando autonomia di giudizio. La possibilità di sbagliare nella vita ci rende più umili e prudenti. Il famoso psicanalista
Carl Gustav Jung affermava: “Chi evita l’errore elude la vita” e giustamente, perché evitare lo
sbaglio in situazioni esistenziali sempre più complicate è impossibile.
Accettiamo, allora, gli errori positivamente, come elementi necessari all’esperienza e alla crescita. Il bambino impara ad andare in bicicletta dopo una serie di sbandate. Accettare lo sbaglio ci dà l’opportunità di fare una serena autovalutazione delle nostre azioni, a sentirci meglio e in pace con noi stessi, e ad avere un atteggiamento più rilassato nei confronti della vita e degli altri.