Abituiamo a giudicare gli altri in base a questo parametro e ne facciamo la nostra ossessione. Quelli che arricchiscono sono potenti e ascoltati, gli altri non contano niente. Il falso mito che identifica ricchezza e felicità ci infetta a scapito della salute e delle nostre relazioni. In realtà si tratta di un’illusione, forse la più grande dei nostri tempi. Non dobbiamo allora temere i ricchi signori della terra e considerarli soggetti fortunati, da invidiare e imitare. Anche se Albert Camus asserisce che “È una sorta di snobismo spirituale quello delle persone che pensano di poter essere felici senza denaro”, la correlazione ricchezza/felicità è diretta fino a un certo punto. Anche precisando, con onesto realismo, che la ricchezza influisce sul nostro benessere, non è facile capire in che misura incida su una felicità vera, profonda e duratura.
Lo star bene è il fine cui tende ogni persona e la miseria non è mai auspicabile, anzi è dovere e impegno di tutti contrastarla e scongiurarla. I poveri, però, diventati indubbiamente più felici mentre sfuggono alla povertà, una volta liberi dagli affanni, avvertono che il legame tra denaro e felicità comincia a logorarsi. La ricchezza, non equamente distribuita, ottenebra la mente e impedisce di riconoscere le altrui necessità. Nascono così, la storia lo insegna, le violenze, le ribellioni e le guerre. La ricchezza, certo, gioca un ruolo molto importante nell’attualizzazione dei nostri sogni, ma non basta. Siamo fatti per essere felici ma lo siamo quando diamo un significato esauriente all’esistenza e questa consapevolezza di aver dato un senso al nostro viaggio terreno non si può comprare.
La ricchezza è una prospettiva tanto allettante quanto ingannevole, seduce e amaramente delude. Quando “l’uomo muore, con sé non porta nulla”, non riscatta la vita, “è come gli animali che periscono”. L’eccessiva prosperità conduce, ineluttabilmente, con la decadenza culturale e sociale a un degrado morale. Per lasciare spazio all’avidità edonista si accantonano i valori morali e un nuovo materialistico modus vivendi consolida una vita sfrenata, priva di limiti e norme. Questa realtà ha la sua epifania sotto i nostri occhi: la corruzione finanziaria e politica, l’abuso di alcol e droghe, la pornografia e la prostituzione, l’illegalità e la violenza, il lusso in mano a pochi, e la povertà fino alla fame per la maggior parte dell’umanità, l’indifferenza e assuefazione nei confronti di notizie e di immagini raccapriccianti che invadono le nostre case senza ferirci il cuore, il cinismo e l’incapacità politica di rendersi conto delle convulse trasformazioni epocali in corso.
"Il nostro mondo comincia il nuovo millennio carico delle contraddizioni di una crescita economica, culturale, tecnologica, che offre a pochi fortunati grandi possibilità, lasciando milioni e milioni di persone non solo ai margini del progresso, ma alle prese con condizioni di vita ben al di sotto del minimo dovuto alla dignità umana." (Giovanni Paolo II in Novo millennio ineunte) Si tratta di passare da questa cecità morale, imposta o fatalisticamente accettata, a quella lucidità che ci rende coscienti della nostra umana fragilità. Non siamo eterni. L’oggettività della morte dà il giusto senso al nostro essere e al nostro vivere. Tutti, prima o poi, ci ritroviamo in una fase della vita nella quale il nostro conto in banca, i nostri palazzi e gli oggetti preziosi accumulati non valgono assolutamente niente. Prendiamo percorsi di vita differenti, ma arrivati a quel punto siamo tutti uguali.
L’uomo è un mendicante insoddisfatto. «Non c’è conquista sociale, non c’è livellamento economico che possano togliere all’uomo i suoi connotati di “accattone” che chiede a Dio e al mondo la possibilità di colmare le deficienze radicali e inguaribili della sua natura fragile e lacunosa. Non ci sono riforme sociali che possano affrancare l’uomo dalla dura necessità di mendicare al cospetto dell’universo quel che occorre alla sua fame di amore, alla sua esperienza del dolore, alla lacerazione nel rimorso, al distacco tragico della morte». (Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo di Ernesto Buonaiuti, ed. Aragno 2020)