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Cos’è sto network neuronale?

Bella domanda di abbonata Zafferano, che merita una risposta giocosa degna del periodo di confinamento covidiano natalizio.  Prendete due cartoncini colorati, uno rosso ed uno verde, ed in entrambe ritagliate le parole “rosso” e “verde”: poi prendete anche un paio di bicchieri, una bottiglia di rosso, ed il vostro coniuge o compagno di bevute come avversario.

A turno, bendati, bisogna scoprire gli occhi e leggere immediatamente e correttamente la parola sul cartoncino: se tentennate dovete bere, se sbagliate a leggere bevete. Il gioco finisce dopo che avete letto le quattro parole: “rosso” in rosso e verde, “verde” in rosso e verde. Divertimento assicurato.

Cosa succede? Nei primi 20 millisecondi la retina ha visto il cartoncino, nei successivi 20 la parte posteriore del cervello ha riconosciuto i contorni delle parole, nei successivi 100 vicino alla spina dorsale avete letto la parola, in altri 200 avete riconosciuto il colore ed associato alla parola nella corteccia prefrontale, e negli ultimi 140 avete aperto bocca e dato la risposta, dalla parte alta del cervello. In 480 millisecondi avete visto, capito, scelto accendendo un enormità di neuroni e sinapsi dagli occhi attraverso il cervello. Sembrate un albero di natale a vedervi da una risonanza magnetica.

Come in una casa, l’input partito dagli occhi è salito attraverso vari piani di neuroni fino a farvi dare la risposta, e ad un paio di piani avete attinto alla memoria che vi fa ricordare cosa vuol dire verde, rosso e rispettivi colori. Il bello del gioco è che il nostro cervello va alla grande nel leggere rosso se il cartoncino è rosso, o verde su verde, ma non quando colore e parola si mischiano. E se cominciate a bere, il gioco diventa difficile .

Per chi volesse entrare nei dettagli, raccomando di leggere dell’esperimento di Stroop e magari fare il gioco su internet qui e di approfondire il modello CDM di Cohen, Dunbar e McClellan qui.

Ecco in pratica cos’è e come funziona un network neuronale: ricostruire il passaggio dei dati dalle fonti di input attraverso tutti i livelli dove questi vengono processati, messi in memoria e paragonati con quelli già disponibili, prima di farci aprir bocca, sbagliare e bere un bicchiere di rosso. Dalla comprensione di questi meccanismi neurologici, possiamo progettare equivalenti circuiti elettronici che consentono al robot di riconoscere un qualcosa e di conseguenza fare una determinata azione. I tempi di reazione sono leggermente inferiori ed i neuroni del robot sono un quarto dei nostri, ma il meccanismo è lo stesso.

Un esempio è il robottino bostoniano iRoomba, che da 30 anni pulisce per terra. I primi modelli usavano il tatto per costruirsi una mappa di casa ed assicurarsi di passare dappertutto, oggi siamo arrivati a riconoscimento visivo e vocale, per cui gli potete dire di pulire sotto il tavolo dopo pranzo e lui esegue. Pensate sia facile? Muri e mobili sono fissi, ma sedie ed altri oggetti sono mobili, poi ci sono persone ed animali domestici che si muovono. Serve appunto combinare più input: tattili, visivi e vocali per aumentare l’efficienza e la velocità della pulizia. $200 dollari sono tanti o pochi per un robottino che spazza in casa a comando? A lui i bicchieri di rosso non interessano, e voi potete giocare coi cartoncini colorati mentre lui pulisce in casa.

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