IL Digitale


Net Etiquette, educazione digitale

Con Net Etiquette si intendono quegli adattamenti della buona educazione e del buon senso che sono necessari per partecipare costruttivamente alla comunicazione sui canali digitali, siano essi email, social media o altri. Quanto e’ importante riflettere sul tema e sapersi comportare correttamente nel digitale?

Anni fa non avrei mai previsto che genitori non vaccinassero i propri bimbi, che tanta gente pensasse che la terra sia piatta, che l’austerita’ fosse una ricetta intelligente per sviluppare un economia, e via con la lista degli assurdi che leggiamo di continuo. I social media sono terreno fertile per queste nuovi credenti e per i Competenti che insistono a flagellarli per l’eresia. Quelli con la C maiuscola sono spesso politici ed accademici, personaggi che ben conoscono le fatiche del lavoro e dell’arrivare a malapena a fine mese, e dall’alto dei libri letti ed articoli pubblicati blastano e fanno sdeng, ovvero quei suoni che abbiamo imparato sui fumetti degli anni 70, quando credevamo ai supereroi.

Tanto pathos, tanta emozione in questi scambi roventi, tutto inutile. Quando hai quattro lauree, dottorato e pubblicazioni, e’ immediato usare la leva dell’ethos, l’autorevolezza, per annichilare i nuovi credenti. Tanto immediato quanto inutile, e sopprattutto controproducente.

Hillary Clinton e’ famosa per lo sdeng piu’ sonoro degli ultimi 10 anni: lei era convinta di saperla lunga, sicura degli appoggi delle elite finanziarie mondiali, armata degli influencer piu’ famosi nei media e social media. Ha chiamato deplorable i poveri cristi che pensavano di votare Trump, quei travet che dal 1972 ad oggi non hanno visto una briciola della nuova ricchezza americana. Sdeng.
Se la saggezza e’ la capacita’ di imparare dagli errori altrui, possiamo classificare il presidente francese senza molti sforzi: anche lui dall’alto delle sue frequentazioni d’alto bordo ha irriso e maltrattato il popolo, che poi ha indossato il gilet giallo. Ora riflette.

Ma com’e’ possibile pensare che un qualsiasi genitore possa volere il male del proprio pupo e non lo vaccini? Come possiamo credere che sia la stupidita’ a tarpare i neuroni dei terrapiattisti? Impossibile, veramente idiota ipotizzarlo.

I social media sono fatti per creare comunita’ di gente simile tra loro, che comunica con poche parole a cui si vuole credere perche’ ci aiutano a stare in quella comunita’. Fake truth e’ quel pericoloso fenomeno per cui rinunciamo al dubbio, alla verifica di quanto ci viene detto, e prendiamo come assolutamente vero quello che lo e’ solo in minima parte. I vaccini possono causare l’autismo? Certo, ma in un numero estramente ridotto di casi, cosi’ ridotto da non essere minimamente paragonabile al vantaggio che si ha dal vaccino. L’austerita’ puo’ effettivamente rimettere in sesto i conti di un paese? Certo, ma facendo soffrire la popolazione come visto in Grecia, Irlanda, Italia.

Serve usare ethos e pathos sui social media? No, e’ controproducente. Non ci deve interessare se dialoghiamo con un Premio Nobel o con un ragazzino, con un CEO od un pompiere. Non possiamo  insultare o difenderci da insulti del prossimo. L’unica cosa che conta e’ il logos, spiegare la logica, i fatti ed i numeri a sostegno delle nostre tesi. Tutto il resto e’ fuffa, ed alimenta il fake truth.

The Economist e’ una rivista che pubblica pezzi di autori anonimi che sanno usare un filo di ironia ma non offendono mai nessuno, e cercano di spiegare la logica delle proprie argomentazioni coi dati. Conosco molto bene un paio di questi articolisti, geste tosta. E poi, George Lakoff e Noam Chomski sono due linguisti che insegnano bene come si comunica: raccomando i loro libri a chi voglia usare i social media per apprendere e per dare un opportunita’ agli altri di imparare.
Chi vi scrive, cari ragazzi, ha avuto la fortuna di incontrare tanti maestri in tanti paesi, di capire che quello che conta e’ la curiosita’ e la voglia di imparare, la voglia di fare e costruire, con buona dose di umilta’ ed autoironia, perche’ a prendersi sul serio non si va da nessuna parte J.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa
Marinella Doriguzzi Bozzo (Torino): da manager di multinazionali allo scrivere per igiene mentale
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro