Ritorna. Ognuno potrebbe

Chi ama il cinema, e non può esimersi dagli avvenimenti al contorno, conosce Samuel Benchetrit almeno come regista de Il condominio dei cuori infranti, tratto dal suo libro Cronache dell’Asfalto; e sa che ha appena impalmato l’ex moglie di Johnny Depp, Vanessa Paradis.

Di modeste origini ebraico-marocchine e di approssimati studi giovanili, Benchetrit è un artigiano riflessivo e irridente sia delle parole che delle immagini, volte a dissezionare le sconfitte della  modernità per stanare i  residui della speranza. Secondo associazioni narrative che sembrano nascere casualmente, mentre tutto è invece calcolato con una malinconica e buffa svagatezza, densa di rimandi culturali sottotraccia.

Non fa eccezione il suo ultimo romanzo, dove uno scrittore quasi cinquantenne, che sembra aver rinunciato a scrivere, si trascina tra molti bicchieri, parecchie sigarette e innumerevoli propositi di riscatto mentre un’ex moglie lo assilla, una portinaia lo disprezza, un editore lo incalza, un funzionario del fisco lo perseguita, un questuante lo inganna, un rivale letterario lo umilia, Amazon lo tradisce e il suo primo titolo è definitivamente al macero. Partito l’amatissimo figlio per un lontano viaggio, rimane solo, alle prese con un improbabile progetto su Plinio il Vecchio, considerato benevolmente solo da un’anatra e da un’infermiera romanticamente silente. Nonché assillato lungo l’intero libro da un indovinello la cui soluzione, come La lettera rubata, è sotto gli occhi di tutti fin dall’inizio.

Ogni letteratura alta, media o bassa che sia ha sfruttato sino all’usura l’angoscia del calo di ispirazione. Eppure, grazie al suo periodare disossato e ai suoi dialoghi vagamente surreali, Benchetrit riesce a volgerla in un punto di forza, mettendo sotto la lente un disarmato ingenuo, non sprovveduto in quanto illetterato, ma tale perché poeta, mischiando le carte tra intellettuali e uomini qualunque, mercenari della carriera e volontari della vita. Una grazia persistente muove i caratteri e gli eventi, illuminandoli criticamente con una compassione di cui beneficia anche il lettore, ora indignato, ora commosso, sempre comunque divertito. Si tratta di una forma particolare di fascino che, per vie misteriose, attenua i difetti compositivi, rendendo empatici i temi leggeri e ariosi quelli pesanti, secondo un intrattenimento destinato a durare nella memoria con un suo piccolo, ribelle ed affettuoso afflato.

Un tempo si sarebbe concluso menzionando uno spirito “tipicamente francese”, in realtà mai circostanziato. Anche perché il protagonista vede gli stessi nostri orribili spettacoli televisivi, dilungandosi sul format internazionale Quattro matrimoni. E, a tale proposito, si potrebbe adombrare un parallelo, se non un indovinello. A quale libro italiano attualmente in classifica è accostabile Ritorna? Sicuramente a Le cose che bruciano di Michele Serra, che spicca rispetto alla garbata didattica de La versione di Fenoglio di Gianrico Carofiglio (invece un notevole  romanzo era L’estate fredda), surclassa l’onnipresente e venerando Andrea Camilleri, sbaraglia l’acuto , spiritoso Alessandro Robecchi e l’intrigante Maurizio De Giovanni che da un po’ di tempo è la maniera di se stesso; per non tacere della deludente prova da rotocalco patinato di Marco Missiroli, dopo il valido Atti osceni in luogo privato. Insomma, un mercato dei gusti da cui Michele Serra si distanzia nobilmente, anche se il fatto di essere noto come giornalista forse non lo avvantaggia come scrittore. Basterebbe pensare a Gli sdraiati (poi annacquato al cinema) ma, soprattutto, a Cerimonie, una delle migliori raccolte di racconti italiani degli ultimi venti anni. Però sarebbe un altro discorso.

Ritorna di Samuel Benchetrit, Neri Pozza 2019, 238 pagine, 17 euro

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