... fra un capannello organizzato ad arte dai suoi diplomatici e l’altro, casuale; oppure accompagnarsi nei corridoi moderni e colorati del sinuoso Palazzo Europa con la sua avveniristica “lanterna” tondeggiante per poi debordare fino alla parte classica e vincolata a bene artistico che si innesta dell’architettura 1920 – e nelle deluse ansie di grandeur del Residence Palace di cent’anni fa.
Alla fine, sarà lei, “che eccelle in questi contesti”, a serrare le file della scomposta pattuglia dei “frugali” e dei pantagruelici spendaccioni che, dopo lo strepitio, aspettano l’evolversi degli eventi e l’avvio del negoziato. Certo, sarà estenuante. Ma si concluderà probabilmente bene e verosimilmente senza sostanziali strappi. I grandi Paesi che orienteranno l’accordo sono “quelli che trascineranno gli investimenti nelle due transizioni fondamentali, quella digitale e quella ambientale con politiche di “recovery” orientate alla sostenibilità e alle energie pulite.
Del resto, finora, nonostante i contrasti e le divergenze, nessuno si è alzato e ha sbattuto la porta. Frasi taglienti, giudizi netti, ma niente pugni sul tavolo. Per far sì che l’inevitabile obtorto collo con cui alcuni Stati Membri tollerino ancora che alcuni nostri giornali titolino: un fiume di soldi dall’Europa, dichiarandosi pronti alla movida degli interventi a pioggia, sarà necessario mettere per iscritto che le “destinazioni degli aiuti non potranno essere scriteriate”. Scriteriate... un vocabolo quasi arcaico, recuperato da una cultura tanto garbata quanto profonda, quasi da lessico di buona famiglia.
L’uomo è elegante di natura, compassato nei modi e sovrano nella sua gabardina blu, con la cravatta blu. Contrasta con la mobilia del suo ufficio con tanto bianco e tanto rosso. Lascia intendere con chiarezza che esisterà un modello di riferimento, ma che il controllo del processo di ripresa resterà una responsabilità primaria dei governi nazionali, che dovranno esprimere piani concreti e solidamente sostenibili prima di accedere a quello che ha tutto l’aspetto di uno scatto in avanti dell’evoluzione d’Europa.
No, non siamo di fronte a una federazione europea, ma qualche prova tecnica è in atto: molto denaro nasce da un approccio simile a quello verso un bilancio comune, che arriva dopo revisioni, forse temporanee, ma sostanziali, di rigide normative (per esempio la concorrenza, gli aiuti di stato) o dopo un cambio di passo della Banca Centrale Europea che ha fatto dei vari, successivi, bazooka una funzionalità di serie nella costruzione del suo percepito politico.
Non siamo neppure all’esordio della mutualizzazione del debito, ma cominciare dalla ristretta area del debito legato allo spending sanitario dovuto al virus è visto come un interessante esperimento; per usare un’espressione di moda fra chi si occupa di settori regolati in questa città, una sandbox a cui guardare con attenzione.
Le sandbox sono i quattro metri quadrati riempiti di sabbia in cui i bambini giocano con paletta, secchiello e formine nei giardini pubblici: uno spazio confinato in cui apprendere e sperimentare. In parole povere, si costruisce per settori regolati e normati nel passato e per verificare se vi siano misure o approcci più efficienti nel presente oppure che possano essere sviluppati in futuro. Queste sperimentazioni limitate equivalgono a verifiche preliminari per capire se l’Europa potrà veramente cambiare attitudine e salire di un gradino verso un concetto federale per i suoi Stati Membri. Nonostante le tensioni, i ripensamenti, i temporanei estremismi nei diversi governi.
Lasciamo perdere il romanticismo infilato da molti nell’analisi delle mosse dei grandi europei, la favola delle Tre Fate che insieme rivelano un’Europa donna e di buona volontà; e più dotata di senso pratico di quella delle commissioni Delors, Santer, Prodi, Barroso e Juncker. È sicuramente la congiuntura, se non la congiunzione, di economia, evoluzione della politica, equilibrio degli assetti di potere, opportunità e necessità sociali e politiche che produce questo insieme che sì, appare coeso e bilanciato. È il senso di responsabilità, che probabilmente avrebbe attanagliato chiunque in questi mesi nefasti, che porta a consolidare la leadership nascente fatta da UVDL, Merkel, Lagarde. Insieme con un bel po’ di Commissari donne: un vasto insieme di alti gradi operativi della Commissione che arrivano a posizioni di vertice non per l’espandersi delle quote rosa, ma grazie a un insieme di esperienze solidamente maturate.
Probabilmente l’eredità di questa pandemia saranno un maggiore laicismo e realismo politico; e la costrizione data dai fatti, che tutti ci troveremo davanti. Una vaga sensazione di ricreazione finita, con l’attesa di verificare quanto sarà ancora pesante lo studio degli ultimi giorni di scuola prima di un esame di maturità inevitabile, visto che è pure stagione.
Detto con solennità: finora le politiche di bilancio sono state basate su regole, soglie, raccomandazioni e procedure d’infrazione. Oggi siamo di fatto di fronte a una politica di bilancio senza precedenti e che “farà precedente”. Non siamo di fronte a un fuoco di paglia che non lascerà tracce nell’edificio europeo. E se l’Europa vuole spendere bene questi soldi deve avere anche risorse proprie e non fare affidamento al 70% solo sulle contribuzioni degli Stati Membri.
La Commissione appare consapevole della responsabilità, con una ricaduta almeno decennale, che deve affrontare: adottare politiche che consentano la ripresa, ma che nel contempo assicurino anche il mantenimento di una traiettoria finanziaria sostenibile per gli Stati Membri e per l’unione nel suo complesso; e di graduale riduzione del debito pubblico complessivo. L’importante è evitare il doppio picco all’ingiù sperimentato nella precedente crisi dovuto proprio a quelle regole, soglie, raccomandazioni e procedure che le sandbox di oggi dovrebbero smussare e complementare con alternative percorribili. La sfida, nella gestione di questa fase, è per l’anno prossimo.
Lo sguardo dietro gli occhiali leggeri a montatura rettangolare è sereno e consapevole; non è neanche un anno che siede sulla poltrona di Commissario e sta fronteggiando con gli altri una emergenza senza pari. Gli riconoscono, da sempre, una profonda capacità diplomatica, un senso della misura capace di tener testa alle impuntature più ottuse, così come di ricucire posizioni diverse. Soft-voiced, a bassa voce; soft-paced, felpato. Come in quel formidabile meme di Federico Palmaroli, in arte Osho: pasito a pasito, suave suavecito.
Dall’altra parte, al G20 del 2017 di Amburgo c’era, nell’immagine scelta, Mark Rute, il premier olandese e capotribù dei frugali. Ad Amburgo si parlava di condividere i vantaggi della globalizzazione, rafforzare la resilienza, migliorare la sostenibilità dei mezzi di sussistenza e “assumere la responsabilità” come governanti europei dell’evoluzione dell’Unione. E siccome scripta manent: “I leader hanno inoltre evidenziato il valore della cooperazione internazionale in ambito sanitario, in particolare per combattere più efficacemente la resistenza antimicrobica”... Gli intimi insistono a chiamarlo con il diminutivo, Paolino. Lui deve avere contezza e certezza che la sua carriera politica non è certo finita a Bruxelles, ma da qui, pasito a pasito, parte; e cosa sarà nei prossimi quattro anni lo si intuisce chiaramente, suave suavecito.