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Quando i pettini vengono ai nodi

Tra tutti i primati mondiali che Trump  spesso ripete in comizi e TV per dimostrare le sue capacità da Presidente, manca quello  dei morti da Coronavirus. Quando a marzo  ed aprile la sua task force ha spinto sulla  quarantena, spegnendo l’economia, i  risultati ci son stati, ma...

... non duraturi. Le stime son passate dai 100-240 mila morti iniziali, poi a 65 mila, ed ora nuovamente sui 120 mila. Numeri che vanno almeno raddoppiati perché in USA, come nel resto del mondo, vediamo che i decessi sono il doppio rispetto all’anno precedente.

Se questa batosta non fosse sufficiente, la disoccupazione è passata dal 3 al 20% e lo stimolo  finanziario per tenere a galla aziende e popolazione è già a quota tremila miliardi di dollari. Purtroppo le previsioni di ripresa sono passate dall’essere una V (ripresa veloce), all'essere una U (ripresa  lenta) e infine una W (sincope) e questo comincia a vedersi nei dati allarmanti di suicidi, che sembrano  possano crescere a 75mila. Per dettagli: https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-05-08/mental-health-care-braces-for-coronavirus-anxiety-and-suicides.

Famiglie con bimbi ed appartamenti piccoli nelle costose metropoli del Paese cominciano a far bagagli e burattini e trasferirsi in campagna, dove chi ha seconde e terze case s’è già stabilito da settimane. Chi resta in città come New York? Pochi ricchi, che sembra non si ammalino, e tanti poveracci che invece si barcamenano tra malattia e fame. 

L’economia reale è sempre più separata da quella finanziaria dei valori di Borsa: le grande aziende, specie le digitali, approfittano della crisi per tagliare costi all’insegna del "così fan tutti". Alcune, che nelle prime settimane di crisi avevano cavalcato il moto d’orgoglio "siamo tutti nella stessa barca", ora promettono di licenziare il 30% della forza lavoro, mettendo ancora più in imbarazzo repubblicani e Presidente che si sentono abbandonati sugli scogli delle prossime elezioni.  I robot attendono fiduciosi il loro turno.

Il capitalismo finanziario passa al setaccio pure i finanziamenti del governo, spesso rifiutandoli o restituendoli per evitare di prendere l’impegno di mantenere la forza lavoro. Immaginate un CEO che restituisce il finanziamento statale di due mesi di stipendio per poter licenziare liberamente i suoi dipendenti? Ci riuscite? Capita tutti i giorni ed i media non sanno come fare, perché questa dissociazione tra logica capitalista e morale, pur nel rispetto della legge, è segno di una cattiveria fantozziana... ma non fa ridere.  E specialmente perché questi CEO sono i loro benefattori.

Dal 2017, nel mondo abbiamo registrato 100 casi di forti sommosse di popolo (come i gilet gialli in Francia) e 20 han portato ad un cambio di regime. Per evitare queste escalation i social media dei CEO californiani con la felpa hanno aggiunto decine di migliaia di censori, come al solito "contractor" per poterli eliminare e dissociarsi da qualsiasi nefandezza facciano. Le probabilità che questo cicinin di virus porti a sommosse popolari dipende dalla libertà di pensiero e dal fatto che siano i nodi ad andare dal pettine, non aspettare che siano i pettini a passare sui nodi.

In numeri precedenti ho raccomandato i testi di David Graeber sulla burocrazia e bullshit jobs,  e quelli di Naomi Klein sul Disaster Capitalism: ci aiutano a riflettere, meritano una lettura.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Roberto Zangrandi (Bruxelles): lobbista