Vita d'artista


Bertozzi & Casoni

In una giornata fredda e soleggiata di fine dicembre, ci siamo diretti verso la Bassa, verso il Labirinto della Masone, a Fontanellato. Per Bassa intendo quella pianura padana tanto amata da Luigi Ghirri e spesso da lui fotografata, sospesa e lattiginosa. Invece sarà stato il clima piuttosto rigido ma quel giorno era di un nitore sublime, ma con una luce morbida, quella sì. 

Quei luoghi sono magici, anche oltre il magnifico labirinto e la collezione di Franco Maria Ricci, tanto particolare, perché ti danno un senso di spazio largo, difficile da trovare vicino a noi. L’idea era fare qualche indagine e prendere spunti dall’immensa biblioteca di FMR e al contempo vedere la mostra del duo Bertozzi & Casoni … ahimè rimasto uno, dopo la scomparsa di Stefano Del Monte Casoni, nel 2023. Artisti comunque per storia e sentimento appartenenti a un territorio vicino, quello di Imola, con simili scorci … e sempre la Bassa.

Artisti da me apprezzati da sempre, per un utilizzo nuovo e geniale della ceramica, di cui colpisce sia l’abilità tecnica che i contenuti, qualche volta sconfinanti nel trash, ma sempre necessari e poetici. È come se la loro immaginazione e cultura tenesse conto sia della storia, ad esempio delle tavole imbandite delle porcellane di Meissen, la Real Fabbrica di Porcellane istituita nel 1710 vicino a Dresda, sia degli scarti e rifiuti d’oggi, un po’ pop. Nella mostra infatti, vi è al centro di una stanza proprio una tavola imbandita, da loro costruita come se fosse dopo una cena in cui tutti i commensali sembrano esser stati pervasi da una certa follia oltraggiosa, forse volgare o disperata, in cui gli avanzi, gli sprechi, che sono anche i nostri, galleggiano in primo piano, urticanti. Una grande abbuffata, alla Ferreri. Ecco: all’estrema poesia del particolare, così ben realizzato, il senso generale lascia sgomenti, perché con una certa violenza ci racconta ciò che siamo, un certo disgusto inzuppato di verità.

È come se con loro la ceramica, tipicamente di registro artigianale, si fosse un po’arrabbiata, e non volesse più essere la tecnica rococò per eccellenza, quella dei pastorelli felici a centrotavola, e avesse deciso di entrare nell’agone contemporaneo raccontando, con quella stessa morbidezza però, il nostro mondo fluido e un po’ osceno, spesso sporco, ma soprattutto senza visione né futuro.

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
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Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.