Claire Zachanassian, sette mariti, miliardaria, ritorna a Güllen trionfante, seguita da un eccentrico corteo di creature bizzarre che contribuisce, non senza un tocco di evidente grottesco, ad alimentare la manifestazione del suo divismo. Alla benevolenza di Claretta, dotata di quel potere titanico che è figlio del denaro, è affidata la rinascita economica della città.
La commedia è, dunque, una corsa verso l’arricchimento, la conquista di un benessere tanto bramato, per il quale i cittadini di Güllen sono disposti a tutto. La parabola che segna la rinascita della piccola città e dei suoi piccoli abitanti si conclude con un solenne inno all’abbondanza, alla felicità, un coro dal sapore classicheggiante che tutto rivela dei modelli letterari di Dürrenmatt.
Tutti: (…) Notte sta lungi, / non oscurare mai la nostra città/ la rinnovata e splendida, / sì che felici godiamo della felicità.
(Atto terzo)
Ma la rinascita di Güllen non è senza prezzo. Claire Zachanassian è la benefattrice vendicativa, ferita nell’ego, chiusa in un cinismo dissacrante, privo di ogni mascheramento. La bara vuota che accompagna il ritorno di Claire a Güllen tradisce fin da subito il doppio volto del beneficio: Claire è disposta ad aiutare caritatevolmente la propria cittadina a patto che questa uccida il piccolo e mediocre commerciante Alfredo Ill, suo amore giovanile. Egli è l’uomo che l’ha ripudiata quando era incinta, uomo che l’ha esposta al disonore. al pubblico ludibrio e al pettegolezzo di Güllen, città dalla quale la giovane Claire è destinata a essere cacciata. Strumento fondamentale, nei piani del borgomastro, per una iniziale manifestazione di captatio benevolentiae verso Claire, Ill diviene, ora, vittima sacrificale alla divinità del denaro.
Claire: La vita è andata oltre, ma io non ho dimenticato niente, Ill.
(Atto primo)
Con serietà e disincanto, Dürrenmatt fa implodere la cittadina di Güllen, maneggia un materiale umano che, dietro la parvenza di perbenismo e di integrità morale, vanta la più tenace delle ipocrisie, il più meschino abbruttimento.
Borgomastro, preside, medico, poliziotto, parroco: le più alte cariche cittadine, contese tra laico e religioso, pubblico e privato, sono, nelle mani di Dürrenmatt, simboli degenerati, grotteschi pupazzi da farsa accecati dalla brama di ricchezza, solo superficialmente sfiorati da artificiosi conflitti interiori che sfumano dinanzi all’estrema duttilità delle loro finte coscienze. Si lasciano comprare, i cittadini di Güllen, e con loro Claire si compra la città, si compra il tempo, si compra la fede, si compra l’etica, la politica, la cultura, la giustizia, quella giustizia nella cui perversione, tanto cara allo spirito critico di Dürrenmatt, ora si sancisce l’esito dell’accordo. Quelli che Dürrenmatt dipinge sono mostri figli del quotidiano, del capitalismo, non meno brutti, deformi e surreali, quasi, di Claire, creatura di carne e protesi, essere a tratti mitologico, sfarzosamente orrido, personificazione spettacolare di taciuti egoistici desideri oscuri.
Preside: (…) A me sembra una Parca, una dea greca del destino. Dovrebbe chiamarsi Cloto, non Claire: si direbbe proprio che sappia tirare i fili del destino.
(Atto primo)
Se Claire è l’ineluttabile, ovvero quel fato al quale la degradazione umana sembra necessariamente rispondere e obbedire, l’uccisione di Ill, braccato come quella pantera che Claire porta con sé, diviene il contrassegno di un’umanità, forse, per Dürrenmatt, priva di ogni possibilità di vera, profonda rigenerazione. Non c’è modello positivo da imitare, non c’è via d’uscita dall’egoismo, dall’annichilimento, non c’è soluzione alla parabola discendente. Il benessere celebrato in conclusione del dramma non è altro, allora, che l’ennesimo “bel” mascheramento della sporcizia umana, l’ennesimo autoinganno, l’ennesima spettacolarizzazione di un ordine artificiale e vano, di una apparenza menzognera.
Al termine della commedia tragica, giustizia è fatta, Claire ha vendicato l’ingiuria e il disonore, la città rifiorisce. Tutto è tornato a posto, per i cittadini, e per i cittadini, dinanzi alla curiosità pervasiva dei giornalisti, Ill è “morto di gioia”.