Il giorno, però, non nasce per la maggioranza degli uomini che vogliono continuare a dormire, schiavi di malvagi pifferai che favoriscono i loro sonni e il loro sognare. La piccola minoranza di risvegliati si rende conto di questo sonno generalizzato. La moderna società di massa è la società dei dormienti per eccellenza, che non si accorgono o non si interessano dell’alba nuova. “Amavano più le tenebre che la luce” (Gv 1,9-11) Nel ciclo della vicenda cosmica ci sono età oscure in cui non si attende l’alba eppure è una questione di sopravvivenza.
Non possiamo perennemente vivere nelle tenebre. Sono forze negative incontrollabili, un potere oscuro che non si può né conoscere né gestire. I risvegliati, persone indotte a interrogarsi sul senso del vivere e sulle modalità di gestire le proprie relazioni con il prossimo, presa coscienza del problema, sentono l’urgenza di mettersi in gioco per uscire da questo punto morto, sono disposti a compiere un salto qualitativo nella propria evoluzione spirituale. Il mondo non diventa migliore con formule magiche, svincolate dalla vita interiore delle persone.
La chiave della crescita personale e della realizzazione degli obiettivi si nasconde in ogni sudore versato e ogni respiro affannato. La fatica del pensare e cercare non è un difficoltà ma un compagno di viaggio indispensabile nella strada verso l’eccellenza. Il risvegliato che sospira l’alba deve confrontarsi, tutti i giorni, con una folla di dormienti, che si muovono pericolosamente e reagiscono in maniera aggressiva se qualcuno tenta di destarli e di responsabilizzarli. Finché si continua a dormire, i nostri orecchi sono chiusi all'armonia dell'Essere e i nostri occhi sono chiusi al suo splendore. L'alba ci deve trovare desti, pronti e desiderosi di accoglierla in noi senza rimpianti del giorno passato. L’uomo immerso nel sonno, che ha smesso di cercare, dimentica che nella vita la dimensione del "cercare" è un aspetto fondamentale.
L’apatia ci sta snaturando perché ci realizziamo come persone nella misura in cui continuiamo a interrogare la vita e noi stessi. La nostra vita spirituale è degna di tal nome nella misura in cui ne facciamo il luogo e il tempo di una costante, assidua ricerca. Cercare non è un'operazione a tempo determinato, ma è una questione che continuamente si ripropone. Il cercatore non teme il buio, ma coglie nell'oscurità anche i più piccoli segnali di luce. Chi cerca non ha paura, o meglio sa che il timore è dimensione integrante di chi non si affida a illusorie sicurezze.
Il cercatore vive in un ascolto costante, teso a individuare tra i milioni di suoni e di rumori, quell'unica voce che mantenga vigile la sua identità più vera. Tenere viva la curiosità intellettuale è prontezza a lasciare le sicurezze illusorie, motivo per non accontentarsi di piccoli orizzonti, per credere che ogni passo non è che la preparazione del passo successivo. La vita del ricercatore è come una sonda gettata nelle profondità incommensurabili dell’oceano dell'esistenza. Il ricercatore non vuole vincere il mistero, lo vuole abitare. Il nostro personale mistero è incarnato contemporaneamente nel tempo, nella storia e aperto sull’infinito. Il mistero non è una realtà oscura e incomprensibile, ma categoria interpretativa dell’essere, pienezza di senso inesauribile che è sempre oltre e per questo sfugge. Il mistero è un eccesso di luce.
Vivere il mistero è essere capaci di tenere insieme realtà che sembrano tra loro opposte, muovendosi in un processo dinamico di crescita e di pienezza. La perdita di senso del mistero porta con sé appiattimento e frustrazione. Accettare la dimensione del mistero è la comoda via per aprirci alla libertà interiore, alla voglia di futuro, rifiutando una concezione passiva, banale e ripetitiva della vita. Smettere di cercare è ritirarsi da una grande sfida: l’amore e il senso della vita non sono fatti per essere posseduti, ma per essere cercati.