Vita d'artista


Muottas Muragl

Stavo leggendo un nuovo saggio di Byung- Chul Han, professore di Estetica all’università di Berlino, un elogio della “Vita contemplativa, o dell’inazione”. Il filosofo sudcoreano afferma che in una società nella quale il “tempo libero” serve a rinfrancarsi dopo il lavoro, ecco che esso resta incatenato alla logica di quest’ultimo: e quale derivato del lavoro rimane un elemento funzionale alla produzione.

Il tempo davvero libero, invece, non appartiene all’ordine del lavoro, è un tempo diverso che unisce in sé intensità vitale e contemplazione, laddove oggi per “vita intensa” si intende di nuovo più prestazione e più consumo. Il nostro tempo libero non è più calma sacra e festosa, e un tempo che ammazziamo finché non emerge la noia.

La necessità di riempire tutti i vuoti, la prestazione, l’agire che sprofonda nell’azione cieca senza un attimo di pausa o tentennamento è il preludio della barbarie. “Laddove imperversa lo schematismo stimolo/reazione, bisogno/appagamento, problema/soluzione, obbiettivo/azione mirata, la vita si riduce a sopravvivenza, a nuda vita animale. È dall’inazione che la vita ottiene il proprio splendore. Se ci viene a mancare l’inazione come possibilità, finiamo per sembrare una macchina che deve solo funzionare” afferma Han, osservando pure che questa coazione ad agire si rivela un efficiente strumento di dominio. E afferma anche che se oggi una rivoluzione pare impossibile allora forse il motivo è che non abbiamo più tempo per pensare.

Non so come il pensiero mi è andato spontaneo alla fatica di ore che feci per arrivare alla Capanna Segantini, a 2.400 mt, nel percorso alpino di Muottas Muragl, in Engadina, capanna che fu lo studio di Giovanni Segantini, ora ristoro, con una vista mozzafiato sul massiccio del Bernina e l’eccelso panorama lacustre della zona.

Segantini, in modo radicale e visionario, si trasferì là nel 1899 per poter terminare il suo Trittico della Natura per l’imminente Expo a Parigi, e una necessità assoluta di solitudine e contemplazione. Quando arrivai in alto, mi fu chiaro finalmente che per fare una grande opera bisogna imparare a lasciare il mondo e il suo rumore a se stesso, anche a rischio di sembrare dei sacrileghi oziosi. Segantini arrivò nel suo eremo sublime portando delle tele, del cibo e lì rimase finché purtroppo non morì: ci sono delle vecchie foto così uniche nel loro genere, che lo ritraggono con i quadri in mezzo alla neve, poetiche e sognanti.

“Il pensiero dell’artista moderno deve liberamente correre alle limpide e sempre fresche sorgenti della natura, eternamente giovane, eternamente bella, eternamente vergine”.

Giovanni Segantini


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