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L’uomo al centro: il Teatro Epico brechtiano

Immerso nel panorama anti-naturalista che caratterizza la pratica recitativa e la ricerca teatrale novecentesca, il nome di Bertolt Brecht (Augusta, 1898 – Berlino Est, 1956), regista e drammaturgo tedesco, è immediatamente associabile a quella tipologia di teatro politico dallo stesso Brecht inaugurata: il teatro epico.

Punto di partenza nell’illustrazione delle peculiarità del teatro brechtiano è l’enunciazione della finalità alla quale, a detta del regista tedesco, l’esperienza teatrale deve necessariamente guardare. In un mondo politicamente e socialmente animato quale quello novecentesco, il teatro non è luogo di diletto e di divertimento, ma occasione di lucida analisi della realtà, momento di riflessione e, soprattutto, di elaborazione di soluzioni pratiche alle criticità della condizione umana.

Per il marxista Brecht, in altri termini, il teatro deve evitare di cadere nell’ovvietà proposta da prospettive fataliste, deve evitare di restituire un’immagine erroneamente immutabile della vita dell’uomo. L’obiettivo del teatro è, invece, svelare la causalità degli eventi, la dialettica del reale, al fine di sollecitare una risposta, un’azione, una “rivoluzione”. A tal proposito è necessaria la rottura dell’illusione teatrale, nemica dello spirito critico dello spettatore, mascheramento dolcemente ingannevole dell’artificiosità della pratica teatrale. Lo spettatore non deve e non può immedesimarsi in ciò che vede, non può permettersi di sacrificare la razionalità all’empatia. Per evitare che lo spettatore si abbandoni alle emozioni, tuttavia, occorre agire prima di tutto sulla controparte umana del pubblico: l’attore.

“Mai, nemmeno per un attimo, egli si trasformi interamente nel suo personaggio. (…) Egli deve limitarsi a mostrare il suo personaggio, o – per dir meglio – non deve limitarsi a viverlo soltanto.”

(Brecht. B., Scritti teatrali, Einaudi, Torino 2001, pp. 133-134)

Come brevemente riportato nel passo sopra citato, compito dell’attore brechtiano non è diventare il personaggio, immergersi, trasformarsi in esso (ciò che ci si aspetta ancora oggi da un attore, sulla base del modello naturalista), ma mostralo da fuori. L’attore di Brecht non può cedere all’immedesimazione (termine tanto caro alla pedagogia teatrale di Stanislavskij) con l’oggetto della rappresentazione, bensì deve mantenere una distanza sufficiente a straniare lo spettatore. L’attore mostra da lontano, narra, e la narrazione, che trova nel pubblico l’osservatore esterno, è la caratteristica essenziale della forma epica (e non, dunque, drammatica) del teatro.

Oltre che della specifica tecnica recitativa appena illustrata, il teatro epico si avvale di materiali scelte registiche e scenografiche. Pannelli con scritte e titoli delle scene, musiche e canti, proiezioni di filmati, rotture della quarta parete sono solo alcune delle strategie adoperate negli spettacoli brechtiani al fine di mantenere sveglia la consapevolezza dello spettatore.

A conclusione di questa brevissima introduzione al teatro epico riporto un’altra citazione brechtiana, riassuntiva, a mio dire, della centralità che il regista riconosce all’uomo (spettatore e attore), al suo spirito critico e alla sua responsabilità storica, politica e sociale.

“L’interesse del teatro epico è perciò di natura eminentemente pratica. Il contegno umano è presentato come passibile di mutamenti, l’uomo come un’entità soggetta a determinati rapporti economico-politici, ma capace, al tempo stesso di cambiarli.”

(Brecht B., Scritti teatrali, Einaudi, Torino 2001, p. 204)

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