La sensazione è quella che si apra il cielo, fenomeno di cui mi accorgo in particolare quando sono in autostrada, e non è solo un modo di dire: quella della luce è proprio una caratteristica della scuola veneta: da Giorgione, che incanta con i suoi colori e coi suoi paesaggi armoniosi (che celano però l’aspetto criptico delle sue opere) a Bellini e Vittore Carpaccio.
E’ come se nella loro pittura fosse percepibile l’aria stessa, con la luce che circola liberamente tra le figure e toglie nettezza ai contorni, in una dimensione “atmosferica” e dorata che avvolge tutte le cose. Forse perché Verona è la prima città del Veneto dopo la Lombardia, ma qui, più di ogni altro luogo, ho questa netta percezione e ogni volta che ci passo penso alla grandezza di quella pittura.
Dopo gli impegni professionali, con Marina Pizziolo, critico d’arte e art consultant, e amica di tanti anni, siamo andate a fare una passeggiata nel centro cittadino, dove lei si è trasferita qualche anno fa. Quella luce così elegante, che si snoda nelle piazze e nelle vie, crea un effetto quasi teatrale. Passiamo vicino alla casa di Giulietta… penso e mi dico quanto è stupefacente che l’intera città e il mondo stesso abbiano deciso di dare vero corpo alla finzione letteraria, come se il dramma di Shakespeare fosse il vero mito fondativo della città. Forse perché a Verona non si può non essere innamorati, o almeno, non si può non pensare all’amore tra quei due giovani che sono stati immortalati anche nell'Ultimo bacio di Romeo e Giulietta dal grande Francesco Hayez.
Camminare per il centro di Verona è un pellegrinaggio, un piccolo grand tour dentro la quinta teatrale di un enorme e operoso palcoscenico, permeato dallo spirito dei due giovani e dell’amore, in bilico tra realtà e fantasia.