Pochi giorni orsono, un paio di case dietro la mia, si è impiccato questo giovane: una compagna e due figli lo piangeranno per sempre. Non era quello che la società avrebbe potuto cinicamente definire un uomo solo «senza arte né parte», eppure ha posto fine alla sua vita. Il benzinaio del paese mentre raccontava dell’evento era in lacrime, indifferente alla nostra cultura machista dove un uomo non dovrebbe piangere nemmeno sulla tomba della madre.
«Sing me to sleep / Sing me to sleep / I'm tired and I / I want to go to bed». Inizia così «Asleep», celeberrimo brano dei «The Smiths» inciso nel 1985 sul lato B di «The Boy with the Thorn on his Side» che racconta d’un dolore così forte da chiederci se non sia meglio andare. «Don't feel bad for me / I want you to know / Deep in the cell of my heart / I really want to go». Steven Morrissey, leader del gruppo britannico, cantilenava questa dolorosa ninnananna commuovendo milioni di giovani.
Pescando negli archivi della memoria tutti noi conosciamo libri, tragedie, musiche, film che trattano questo duro tema, tentando di offrire molteplici soluzioni. Non credo però nessuno fra questi possa davvero chiarire come si arrivi al gesto estremo: tutti quanti parlano di dolore ma limitatamente al mio umano sentire resto attonito e incapace di darmi una risposta definita.