... dei maggiori artisti italiani del Dopoguerra, nato in Libia da padre archeologo e poi ritornato a Roma e divenuto, assieme a Franco Angeli e Tano Festa, l’italian side della Pop Art americana: dai vicoli romani alla galleria Sonnabend. Uno dei pochi artisti italiani ad avere vissuto il clima di quegli anni a New York, frequentando la Factory di Andy Warhol e i Rolling Stones a Londra. Un’artista inquieto e prolifico, sperimentatore assiduo a cui la Grande Mela finalmente rende omaggio, con una mostra al Center for Italian Modern Art ( CIMA) , dal titolo “Facing America: Mario Schifano 1960-65”, che prova ad interrogarsi sul rapporto dell’artista romano con la cultura americana di quegli anni.
Verranno infatti esposti nella mostra quei monocromi di cui ebbe ispirazione a partire dai grandi manifesti, in cui il dipinto di puro colore e pura materia diventa una sorta di “schermo”, un punto di partenza per inserire marchi, cifre, lettere, segnali stradali , quadri che effettivamente hanno molta vicinanza col mondo della Pop Art americana, come ad esempio il famoso quadro con il logo della Coca Cola , ripreso più volte negli anni, dal titolo “Grande particolare di propaganda”. La sua opera però, a differenza di Warhol e compagni, non è una celebrazione o meglio una sacralizzazione delle merci, asciutta ed essenziale, vicina alla perfezione pubblicitaria: Schifano contrappone la manualità del suo lavoro all’estetica commerciale e in qualche modo, romanticamente, afferma la sua tradizione profondamente europea, un po’ disillusa rispetto al modello americano. La sua vera intenzione è certo quella di registrare i cambiamenti in corso nelle società occidentali, sperimentando nuovi linguaggi, inglobando alla materia cromatica immagini dalla TV , stralci di video, frammenti di paesaggio, in modo istintivo, non rielaborato.
Pur essendo un grande pittore, non credo che Schifano si sia mai posto il problema della costruzione dello stile, del linguaggio, ma piuttosto avendo la necessità sempre di un rapporto diretto con la realtà non mediato. Ricordo che nei primi anni Novanta vi fu un moto generale di disapprovazione nei suoi confronti quando accettò di mettere le sue opere su Telemarket, il pensiero comune tra gli artisti è che si fosse “venduto”. Un gesto, il suo, che ormai sembra preistoria.