Diverse aree cerebrali dedicate a diverse funzioni si ottimizzano in tempi diversi. La corteccia visiva evolve e raggiunge un picco di velocità di sviluppo in un paio di anni dalla nascita, quella uditiva in 3-4, quella prefrontale, sede del pensiero complesso e della semantica, tra i cinque e i dieci anni. I bambini imparano per questo facilmente una seconda lingua sotto i dieci anni. Mentre però si assiste a un congelamento totale dei circuiti visivi e uditivi ancora in età adolescenziale, la corteccia prefrontale mantiene un po’ di plasticità molto più a lungo. Gli adulti continuano a lungo a prendere coscienza di nuovi concetti semantici, a stabilire connessioni fruttuose e ragionamenti sulla base di quanto registrano. Meno male!
Se conviene ottimizzare presto i nostri canali di ingresso di informazione e di comunicazione il più in fretta possibile, la parte dedicata al ragionamento deve mantenersi opportunamente plastica per gestire a lungo e in modo sempre più sofisticato quanto apprendiamo.
Far arrivare troppo presto l’alleato nella vita delle persone può essere controproducente. Se prendiamo il caso del “cugino” smartphone Marco Gui della Università degli Studi di Milano ha dimostrato che prima si dà a un bambino lo smartphone peggiori sono i test invalsi che si registrano a 13 anni sul finire del primo ciclo della scuola secondaria: lo rende più ansioso e meno sicuro di sé.
Lo psicologo Jonathan Haidt è arrivato a formulare 3 regole auree a questi meriti: i) nessuno smartphone prima dei 14 anni; ii) nessun social media fino a 16 anni; iii) non consentire l’uso di cellulari a scuola. Lo ha preso in parola il Ministro dell’Istruzione e del Merito italiano, il Prof. Giuseppe Valditara, che ha proibito per legge l’uso di smartphone a fini didattici fino al ciclo primario della scuola secondaria incluso (le scuole che un tempo definivamo medie).
I bambini devono cibarsi del mondo reale, costruirne un loro modello, un loro etica e le basi del loro pensiero critico. Poi nelle scuole secondarie arriverà il loro alleato digitale, per accompagnarli per tutta la vita.
Come tutte le regole forse una eccezione però la si può concepire, rispettosa però della plasticità cerebrale. Immaginate gli occhiali recentemente lanciati da Meta, in grado di presentarvi sulle loro lenti immagini che si sovrappongono alla vostra visione naturale, di ascoltarvi e di parlare con voi attraverso microfoni e auricolari. Perché non farli diventare strumenti di insegnamento di una seconda, di una terza lingua per i bambini sotto i dieci anni? Questi non vedrebbero frustrata la loro sete di realtà, ma semplicemente la vedrebbero interpretata e tradotta in una lingua da imparare dal loro assistente digitale. Certo per ora costa meno un insegnante privato, ma con la massificazione della produzione degli occhiali smart chissà!