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Nozze e infelicità per Maša e Maša

Maša Prozorov, una delle protagoniste di Tre sorelle di Anton Cechov (Taganrog, 1860– Badenweiler,1904): vent’anni, chiusa in una noiosa cittadina di provincia e in un matrimonio senza sentimento. Tante passioni sbiadite nel corso degli anni, si sente inutile, incompresa. Dopotutto, è “la più stupida della famiglia” (atto terzo). Con le sorelle Olga e Irina, Maša condivide il desiderio di tornare a Mosca, loro casa, città attorno al cui mito ruotano le aspirazioni, i sogni e le ambizioni dei personaggi della commedia.

Unica vera luce per una spenta e appassita Maša è il colonnello Veršinin, con il quale la ragazza vive un’avventura amorosa destinata a durare quanto il limitato tempo di permanenza del militare nella città di Maša.

Sono diversi gli aspetti che il personaggio di Maša di Tre Sorelle condivide con un’altra Maša cechoviana, quella del Gabbiano.
L’inizio di entrambi i testi, ad esempio, rivela allo spettatore che le due ragazze vestono di nero. Scelta cromatica non casuale se si considera la componente simbolista della drammaturgia di Cechov. Maša del Gabbiano si trascina dietro la vita “come uno strascico senza fine” (Atto secondo), ha ventidue anni, ma non vive.

ARKADINA Ecco, cara mia… E perché? Perché io lavoro, mi appassiono, mi agito, mentre voi sedete sempre allo stesso posto, non vivete…Che è, vita, la vostra?
(Il gabbiano, atto secondo)

Maša di Tre Sorelle assaggia la felicità “a singhiozzi, con il contagocce” (Atto quarto), è annoiata, si inasprisce, ha “l’inferno qua dentro” (Atto quarto).

MAŠA Diceva Gogol’, che noia, signori, vivere a questo mondo!
(Tre sorelle, atto secondo)

Come anticipa il titolo della trattazione, l’elemento più significativo nel paragone tra le due ragazze è la loro condizione matrimoniale. Maša e Maša non amano i loro mariti. Sono sposate a due uomini (curiosamente, entrambi insegnanti), Medvèdenko (Gabbiano) e Kulygin (Tre sorelle), che finiscono presto per rivelarsi meno interessanti dell’atteso, più pedanti e, forse, mediocri del previsto.
MAŠA Come sei diventato noioso. Prima almeno facevi discorsi filosofici, adesso (lo imita) bambino, casa, bambino, casa, bambino casa! Non sai dire altro.
(Il gabbiano, atto quarto)

MAŠA M’hanno sposata a diciotto anni, avevo il terrore di mio marito, perché era professore, e io avevo appena finito il corso. Mi sembrava terribilmente colto, intelligente e importante… ora non più, purtroppo.
(Tre sorelle, atto secondo)

La noiosità e la banalità dei due mariti è resa ancora più evidente dal confronto con l’eccezionalità (agli occhi delle ragazze) degli uomini dei quali queste sono innamorate. Come Maša Prozorov rincorre l’affascinante colonnello Veršinin, spesso dedito al filosofeggiare, così Maša rincorre il giovane Kostantin, drammaturgo incompreso, artista solitario. Due amori rotti, destinati a finire (nel caso di Veršinin) o a non iniziare (si ricordi che Kostantin è innamorato di Nina). Due amori che parlano di una vita ferma al potenziale, interrotta, una vita che sa di morte incombente.

Alla luce di quanto detto, ci si può ora interrogare sul significato materiale e simbolico assunto dalle nozze delle due ragazze. Per Maša il matrimonio è lo strumento (o forse la scusa) per eliminare la sofferenza d’amore, che fa tutt’uno, però, con l’amore stesso. Maša sposa il povero Medvèdenko (che ella stessa guarda con pena) per estirpare dal cuore la passione frustrata, per distrarsi, per precludersi la possibilità di sentire e, con essa, di vivere.

MAŠA (…) Quando un amore si annida nel cuore bisogna snidarlo. Via! Con la frusta!
(Il gabbiano, atto quarto)

Maša si lega a un uomo che non amerà, credendo così di poter dimenticare l’unico uomo che non riesce a smettere di amare. Ma, occorre notare, credere di poter cancellare il sentimento è un’illusione. Non bastano le nozze, non basta Medvedenko a distruggere quell’amore che fa sentire Maša viva e che continua a richiamarla a sé. Consapevole dell’inefficacia della reclusione matrimoniale, reclusione che, più che guarire, evidentemente inasprisce e rafforza la frustrazione, Maša arriverà a invocare una materiale fuga da Kostantin, un allontanamento più radicale, la necessità di non vederlo di più. Una negazione completa. La lotta con la vita che, invece, chiede di essere ascoltata.

MAŠA (…) Appena saremo là, vedrete, mi scorderò di tutto: me lo strapperò via dal cuore con tutte le radici!
(Il gabbiano, atto quarto)

E il matrimonio di Maša Prozorov? Maša è l’unica delle tra le sorelle a essere consapevole, forse, in modo più profondo, che a Mosca non tornerà mai. Strana coincidenza: Maša è l’unica a essere sposata. Le sue nozze con Kulygin sono l’apparente freno materiale alle ambizioni della ragazza, alla sua passione per il colonnello Veršinin, sono la “catena d’oro” della quale Maša fa menzione ossessivamente durante tutto il dipanarsi della vicenda. Ma nel legame forzato, non voluto, imposto con Kulygin si manifesta e si concretizza quella tendenza alla non vita, all’inedia, alla viltà che è strutturale del personaggio di Maša e che emerge in modo evidente durante la commedia. L’insofferenza al matrimonio, la tendenza all’evasione, la consapevolezza della necessità e inevitabilità del legame, la resa, sono la traduzione di un conflitto caratteriale tra il volere e il non potere, tra l’agire e il non agire, e, soprattutto, tra il volere e il non volere. Maša si lamenta, desidera e non desidera cambiare vita, desidera e non desidera la novità, desidera e non fa nulla, e in quel suo “fare nulla” è nascosta la consapevolezza amara e profonda del fallimento, della frustrazione, del disincanto. Maša e Maša, seppur in situazioni diverse, sembrano lottare contro lo stesso richiamo alla vita, assecondato e negato, contro gli stessi limiti, contro la stessa disillusione. Si accontentano. Si accomodano. Non vogliono. Non possono. Non fanno. Non credono. Prima che prigioniere dei mariti e delle nozze, Maša e Maša sono, dunque, prigioniere di loro stesse e delle loro contraddizioni.

Maša e Maša vestono di nero, vestono la loro cronica, inguaribile, esistenziale infelicità.
MAŠA Mi riconoscete?
TRIGORIN Sposata?
MAŠA Da un pezzo.
TRIGORIN Felice?

(Il gabbiano, atto quarto)

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