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Gli antipapi e la verità antinomica

In un libro dal tono leggero ma molto serio e documentato, Mario Prignano, giornalista RAI, vaticanista e appassionato di storia medievale, si occupa delle figure dei 37 antipapi, provando a darne una valutazione più positiva di quanto il titolo anti-onorifico non faccia sembrare (Antipapi, Laterza 2024).

Prignano ha delle ragioni personali per questa passione che è ormai diventata una ricerca accademica: uno degli ultimi scismi dovuti alla molteplicità dei Papi è legato al nome di Urbano VI (1378-1389), che al secolo era un tale Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari e antico avo del nostro giornalista. La storia del suo antipapa avversario, Clemente VII, come quella di molti altri della categoria anti-, non è affatto quella di essere un eretico o un contestatore. Raramente questi antipapi sono contrari in qualche modo alla dottrina. Spesso si tratta di vescovi eletti da un gruppo di altri vescovi nel luogo o nel tempo “sbagliato”, cioè a posteriori non riconosciuto come valido, magari dopo molti anni di lotte tra due fazioni. Sono tutte storie medievali - l’ultimo antipapa è del 1430 ed è un povero Savoia (Felice V) - legate di solito all’incertezza delle modalità di elezione, oltre che alla perenne antinomia tra papato e impero.

Alcune sono storie truci, in cui Prignano un po’ si diverte a sguazzare, come quella di Papa Stefano VI (896-897) che riesuma il cadavere del rivale predecessore per condannarlo come antipapa prima di gettarlo nel Tevere. O come quella dell’antipapa detto Burdino (antipapa Gregorio VIII, 1118-1121), che viene umiliato con una marcia per Roma, seduto al contrario su un asino e rivestito solo di pelli sanguinolente. Ma ci sono anche storie contrarie, come il primo anti-papa Ippolito (inizio del III secolo), che muore martire ed è poi stato dichiarato santo, o come Anacleto II (1130-1138), antipapa che crea il Regno di Napoli.

Il concetto finale è che spesso questi anti-papi, frutto dell’immaturità della Chiesa nella sua organizzazione e tradizione, hanno avuto un ruolo importante o per le decisioni che hanno preso o per le linee di tendenza che hanno fatto emergere, nonostante siano state poi condannate, o per la necessità di cambiamento che hanno procurato.

Così, il libro di Prignano fa riflettere su alcuni temi fondamentali. Il primo è che la Chiesa non ha mai nascosto la sua duplice natura divina e umana e questa seconda è segnata da debolezze, storture e violenze tipiche dei tempi storici in cui vive. Prignano fa emergere con simpatico antimoralismo che ciò non pregiudica nulla della parte divina di essa, anzi ne diventa una prova paradossale. Vale un po’ ciò che diceva il cardinal Consalvi a Napoleone: “Maestà, Lei vuole distruggere la Chiesa ma è impossibile, non ci siamo riusciti neanche noi preti in milleottocento anni”.

La seconda osservazione è che, proprio per questa duplice natura, la Chiesa ha bisogno di forme e articolazioni anche giuridiche. Il diritto canonico è uno dei pilastri della Chiesa, e le battaglie che riguardano la sostanza del messaggio divino spesso si combattono sul piano del diritto con bolle, lettere, documenti. Molti antipapi sono stati dichiarati tali per questioni di diritto, che alla fine però, al di là della damnatio memoriae eccessiva, si sono rivelate anche questioni sostanziali. In effetti, non ci sono stati più antipapi in era moderna perché la Chiesa ha maturato forme giuridiche adeguate che hanno garantito quel ruolo spirituale che essa ha oggi.

Infine, la storia degli antipapi fa pensare a ciò che dice il grande filosofo Pavel Florenskij sulla verità che, per essere tale, deve contenere i contrari e le anti-nomie. Per Florenskij è un’evidenza matematica, logica e teologica ma forse è un tema che varrebbe in molte situazioni, dentro e fuori dalla Chiesa: la verità non è una parte o una fazione e, per sua natura, non è esclusiva ma inclusiva. Il tema è piuttosto continuare a cercarla e, qualora se ne conosca un brandello, continuare ad affermarla.

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