Al di là dei pregiudizi, l’idea – forse di Casaleggio – era interessante e avveniristica, tanto da guadagnare un favore popolare effettivo la cui profondità può essere misurata solo dall’incredibile fedeltà di una metà di elettori che in cinque anni non si sono disamorati nonostante le continue giravolte delle decisioni politiche dei loro rappresentanti.
Non so come finirà, ma l’abbandono di Di Maio, dopo quello di Di Battista, sembra sancire la fine del sogno. Forse, ora, sarebbe interessante riflettere sulle ragioni per cui il sogno non poteva stare in piedi. Incomincerei a ravvisarne tre, che a mio avviso sono importanti anche per capire l’evoluzione degli altri partiti.
La prima è l’insuperabilità delle intuizioni di destra e sinistra. Tutti i sistemi democratici creano per loro natura delle opposizioni. Destra e sinistra sono modi per dire direzioni opposte. Potevano chiamarle sopra e sotto, est e ovest, montagna e palude come avevano fatto i rivoluzionari francesi, ma, non appena gli esseri umani possono decidere liberamente, le direzioni opposte sono inevitabili. Quando non ci sono direzioni opposte, si è in una dittatura estrema o in un totalitarismo. Persino nelle dittature, infatti, si creano destre e sinistre, a meno che il collante dell’ideologia e della violenza non sia così forte da farle scomparire. Non è un caso che il primo M5S, insieme a un grande senso di comunità (come diceva Grillo a Roma nel suo celebre comizio di piazza S. Giovanni) avesse qualche cenno di totalitarismo interno e una certa simpatia per sistemi non esattamente democratici come Russia e Cina.
La seconda ragione del fallimento è l’inevitabile debolezza della natura umana. L’ebraismo e il cristianesimo hanno sempre fatto riferimento al racconto del cosiddetto “peccato originale” per spiegare che l’essere umano non riesce a mantenersi a lungo nelle proprie posizioni morali. Così, il mettere un valore morale – l’onestà – alla base dell’impegno politico non poteva che scontrarsi con la flebilità della dirittura umana. Negli anni la restituzione dei soldi, il divieto di ricandidatura, la rotazione delle cariche, l’obbedienza interna che non altera il mandato dell’elettore, sono diventate sempre più difficili, fino a rompersi quando si è arrivati alla questione fatale della ricandidatura al prossimo Parlamento.
Infine, terza ragione, la disintermediazione è negazione della politica e, prima o poi, il movimento disintermediato e il partito organizzato sarebbero entrati in conflitto. La politica democratica è basata sulla rappresentanza, concetto molto più ampio e decisivo persino per forme non democratiche come la Chiesa Cattolica. Fare i rappresentanti senza essere anche intermediari e mediatori è impossibile. Ci avevano provato i M5S della prima ora, con l’idea dei semplici “portavoce”, ma hanno presto lasciato perdere. Non è difficile, è impossibile: la politica democratica è mediazione e rappresentanti e partiti sono mediatori.
Sembra sempre che i concetti, con la loro complessità, non decidano delle sorti umane. La vicenda M5S, invece, fa vedere che quando i concetti sono espressione della realtà, essi sono insuperabili. Speriamo che tanti partiti, invece di esultare per la scomparsa di un concorrente, li abbiano capiti e annotati.