Pensieri e pensatori in libertà


Giovani vecchi

Non ho guardato Sanremo perché dopo qualche minuto di monologhi dei presentatori senza pubblico mi veniva tristezza per loro. Il pubblico è parte integrante dello spettacolo come lo sono gli studenti delle lezioni e i tifosi delle partite. Senza questo elemento che pare così secondario, lo spettacolo non c’è. Manca il feedback e con esso quell’aggiustamento del tono, della voce, dell’ironia, della...

... sottolineatura, ossia di tutto l’implicito che trasforma un copione in un gesto significativo.

Mi sono visto il giorno dopo i video dei vincitori della gara e di quelli dei premi della critica. In perfetto stile Zafferano, mi sono concentrato sui segnali deboli. I Maneskin vincitori sembrano saltati fuori da una videoteca anni ’70: trucchi pesanti, vestiti a pelle e pelle come vestito, rock urlato e gesti duri e ripetitivi. È una replica di una ribellione stile anni ’70, ma esattamente a che cosa si stanno ribellando? “Siamo fuori di testa, ma diversi da loro” urla il frontman al microfono, ma anche a rileggere il testo non si capisce chi siano i “loro”.

Il rock pesante e rivoluzionario si opponeva alla società borghese bacchettona e proibizionista. A che cosa si oppongono? La sensazione è quella della rivoluzione oggetto di culto da salotto. Il pianto alla consegna del premio più tradizionale e borghese della musica italiana chiude perfettamente il quadretto della finzione.

I premi della critica sono più interessanti. Il premio Lucio Dalla lo vincono Colapesce e Dimartino con “Musica leggerissima”, malinconica e orecchiabile, che prende un po’ in giro l’enfasi sulla musica che cambia il mondo, ma alla fine vuole difendere l’aver “voglia di niente” e “le parole senza mistero”. Un po’ di pop postmoderno, il nichilismo debole alla Vattimo o alla Rorty, moda filosofica a sua volta finita da anni. Qui non siamo negli anni ’70 ma negli anni ’90, con omaggio postumo.

Infine, il premio Mia Martini lo vince Willie Peyote, torinese e torinista, osannato dai social dei tifosi granata. Qui siamo improvvisamente giunti al mondo attuale, raccontando l’universo musicale fatto di giovani affermati troppo presto e di vecchi rimasti adolescenti. In effetti, il vestito è volutamente normale, i temi attuali – incluse le manie del politicamente corretto per cui “twerkare sarebbe lottare contro il patriarcato” – e si menziona perfino il lockdown in cui siamo imprigionati da mesi. Sempre un po’ autoreferenziale, musica che parla del mondo della musica, e sempre un po’ genere finto-scandalo, ma almeno abbiamo raggiunto la nostra era. Quanta fatica però!

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro