... essere riconosciute. Io mi sentivo distante, forse perché mi sembrava di poter dire e fare ciò che volevo, un po’ per mia natura, un po’ per mia storia personale. Certo è che, a posteriori, non ho più pensato che quelle riunioni fossero inutili. Ritengo invece che quelle donne fossero proprio brave a parlarsi così onestamente: in primis sul rapporto tanto complesso con il molteplice impegno lavoro-casa-famiglia, ancora oggi così oneroso per le donne.
Personalmente non credo di avere subito mai una discriminazione come artista, anche se quando i rapporti lavorativi si logorano entra forse in circolo più veleno. Provocatoriamente potrei dire che il giudizio più severo sula mia opera è stato proprio quello femminile, perché le artiste non sono affatto sodali in pubblico e le critici d’arte donna sono spesso competitive: di certo è ancora tutto da stimare il valore dell’arte delle donne. Per quel che riguarda le artiste contemporanee, la maggior parte ha abbracciato territori nuovi e dunque più aperti, come quello del video, dell’installazione o della performance, sulla scia di artiste quali Gina Pane e Marina Abramović. Questo perché la pittura è sostenuta principalmente da un mondo un po’ conservatore che spesso privilegia gli artisti uomini.
Ma dal Novecento in avanti ci sono state delle eccezionali artiste e il primo nome che mi viene in mente è quello di Frida Kahlo, la pittrice messicana più famosa di tutti tempi, anche per la sua vita travagliata e sfortunata. Dal mio punto di vista non si è ancora capita l’enorme portata del suo lavoro, sempre fresco e nuovo e terribile. Kahlo dal suo letto di malattia dal quale esegue i suoi celebri autoritratti per merito di uno specchio sul soffitto, ha penetrato con profondità maniacale una dimensione nascosta e misteriosa del femminile, quasi ctonia. Un mondo nel quale la donna è tutt’uno con la Natura e le sue insidie, si osserva e viene osservata, è totalmente aderente al suo dolore, al suo piacere, al suo sesso. Le esegesi su di lei non mancano, manca il coraggio di uscire da una narrazione un po' standard e affrontare la cruda realtà della sua opera.