IL Digitale


Effetto placebo

Qualche anno fa ho aiutato un azienda farmaceutica nel preparare robot per riempire e spedire contenitori identici, alcuni contenenti medicinale da testare, altri il placebo: una pillola che non avrebbe fatto nessun effetto sul paziente. Per la prima volta in vita mia un cliente chiedeva di fare in modo di “scombinare” il flusso logistico in modo che solo pochissime persone...

... sapessero il contenuto della boccetta.  Ma c’è un problema: con “effetto placebo” si intende il fenomeno per cui il paziente, pur inghiottendo una sostanza innocua, trae comunque un beneficio, quasi alla stregua del medicinale vero e proprio.

Questo ovviamente non capita con tutte le patologie. Con una tibia spezzata non c’è pillola magica che tenga: o usi un antidolorifico serio o il paziente vede le stelle. Ma in tantissimi altri casi il placebo è efficace nel mitigare o annullare il dolore.  Un recente studio delle università di Dartmouth e Essen (qui) ha sottoposto 600 partecipanti ad analisi del loro cervello e dimostrato che l’effetto placebo nasce in due specifiche parti della nostra zucca. Non solo, alcuni di noi imparano a sentire il dolore in modo diverso, riuscendo effettivamente a soffrire meno male di quello che è effettivamente lo stimolo elettro-chimico che arriva al cervello.

E’ nella corteccia pre-frontale, sede del nostro ragionamento più evoluto, che parte l’effetto placebo anticipando la soglia di dolore in base al contesto ed alle nostre memorie. Riusciamo quindi a scatenare il rilascio di quegli ormoni (ossitocina, serotonina ed altri) che bloccano la percezione del dolore, ed il suo ricordo. Per chi abbia vissuto un parto naturale, è frequente che il flusso di ossitocina riesca sia a ridurre il dolore nel momento della nascita, sia a cancellarlo dalla memoria. Altrimenti di secondi o terzi figli ne vedremmo pochi.

Questa scoperta viene bene nel momento in cui con sensori (internet delle cose) ed adeguata intelligenza artificiale riusciamo a mappare in modo sempre più puntuale, ed in tempo reale, il funzionamento del cervello. Tra tutte le tipologie di dolore, basta sapere che in America il mal di schiena brucia $84 miliardi l’anno in antidolorifici spesso inutili, secondo solo alle cure sul cancro con $86 miliardi dove i medicinali al contrario sono efficaci. L’intelligenza artificiale è fondamentale per mappare tutte le casistiche possibili del mal di schiena, una missione impossibile per medici in carne ed ossa. Segnalo questo studio (qui) come buon esempio di applicazione AI per mappare tutti gli stadi ed i contesti in cui si manifesta il rischio di sviluppare dolore lombare.

Di strada da fare ne abbiamo ancora, perché ci son tanti tipi diversi di mal di schiena, e pochi pazienti per ognuno di questi. Ciò significa che i dati a disposizione non sono tanti quanti servirebbero ad un robot, che si trova bene navigando tra decine di migliaia di campioni della stessa classe di dato. Occorre quindi sviluppare anche algoritmi che modellino l’affidabilità, la validità e l’effettiva capacità prognostica dello strumento, ma la caccia al tesoro vale la candela.

Gli antidolorifici che ho citato sopra non sono solo costosi, ma danno anche una serie di effetti collaterali (specialmente gli oppiacei, ma anche gli altri). Se con l’analisi del funzionamento del nostro cervello, basata su neuroimaging e sensori che in tempo reale mostrano il metabolismo di ogni angolo della nostra zucca, riusciamo ad imparare a sopprimere il dolore utilizzando l’effetto placebo, sarà un bel traguardo.

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