Non credete alle sottigliezze che dicono di calcoli difficili da fare. I calcoli sono semplici ma l’Università italiana versa in un tale stato di mancanza di fondi che i dottorandi, gli eterni borsisti, gli assegnisti di ricerca, permettono al sistema di andare avanti senza soldi, prestando lavoro a basso costo. Peccato che poi non ci siano i posti da prof, e i trentenni, trentacinquenni, quarantenni, non abbiano a quel punto altra scelta che quella di andare all’estero, troppo vecchi per altri lavori che non saprebbero più imparare. Non sono necessariamente i migliori. Ci sono quelli bravissimi e quelli pessimi, come tra quelli che restano in Italia.
La peggior fuga, però, non è questa ma quella che lascia i veri cervelli in Italia e non valorizzati. Così capita con Giulio Geymonat, una delle menti più brillanti d’Italia, nipote del celebre filosofo Ludovico, quello che aveva cercato di mettere un po’ di umanità italiana nel circolo di Vienna.
Giulio Geymonat nella vita insegna sanscrito da free lance, ai pochi che lo vogliono imparare. Peccato, però, perché la mente è brillante e molti dovrebbero sentirlo.
Tra i fortunati, coloro che venerdì 5 aprile, hanno ascoltato presso il Centro Studi Grossman di Torino la sua conferenza su Vasilij Grossman e Curzio Malaparte. Con gusto e acume precisi, Geymonat ha indicato un parallelo che nessuno aveva fatto finora tra il grande scrittore russo di Vita e destino e l’autore de La pelle. Entrambi mai classificabili e per questo mai davvero assunti dalle rispettive storie della letteratura, nonostante i riconoscimenti. Troppo comunista per i dissidenti e troppo dissidente per i comunisti, il primo. Troppo fascista per gli anti-fascisti e troppo anti-fascista per i fascisti, il secondo. Entrambi hanno testimoniato su ciò che avevano visto ed entrambi erano giunti alla stessa conclusione: gli esseri umani sono tutti uguali, segnati dallo sporco del male secondo Malaparte, tendenzialmente ideologici secondo Grossman. I nazisti non erano matti né peggiori dei comunisti. Siamo tutti cattivi e ideologici. Per entrambi non ci sono vie d’uscita pulite, ma solo il coraggio che viene dentro lo strazio. Per Malaparte è il sacrificio, quello di Cristo per eccellenza, che salva l’uomo inondandolo di pietà. Per Grossman, quella vita che, eterna, urla dentro la sciocca bontà delle nostre relazioni umane. “Ciò che mi interessa di Dio è il suo lato umano”, diceva Grossman, e forse è proprio ciò che unisce i due autori. Per trovare il paragone ci voleva un cervello davvero umano, affettivo e profondo come quello di Giulio Geymonat. E speriamo che la cultura italiana non se lo faccia più sfuggire.