Si tratta del nono e conclusivo episodio della saga e ultimo in ordine di tempo, anche se è necessario fare ordine mentale e ricordare che gli episodi IV, V e VI (i tre Guerre Stellari per antonomasia) sono nella realtà cronologicamente antecedenti agli episodi I, II e III di una ventina e più di anni terrestri e non so su Tatooine a quanti anni possano corrispondere.
Anche se mi sento di appartenere moralmente e culturalmente al franchise di Star Trek del padre spirituale Gene Roddenberry, una fantascienza molto umana e terrestre nella sua visione un po’ western, fortemente laica e ottimistica, nell’immaginare un futuro in cui l’umanità avrebbe risolto da sola semplicemente usando l’intelligenza i problemi che si era essa stessa creata nel corso dei secoli, ammetto che ultimamente mi sono fatto affascinare dai vari prequel e sequel, spin off, ritorni di personaggi e attori eccellenti (come rimanere impassibili di fronte all’ammiccante ritorno di Billy Dee Williams e del suo quanto mai iconico Lando Calrissianan e alle immagini della compianta Carrie Fisher), dalle trame intricate al limitare del bildungsroman, tipiche dell’epopea quasi leggenda delle Guerre Stellari di George Lucas, adesso in mano alla genialità di J.J. Abrams, fra l’altro sceneggiatore, regista e produttore anche di alcuni Star Trek.
La faccenda però è seria, molto più seria di quanto non si possa pensare e il dualismo non è soltanto formale; Star Wars piace perché non parla di noi, anzi si colloca a rassicurante distanza dal nostro sentire, al riparo di una dimensione remota, dalla quale ci racconta quasi come in una fiaba sonora stile a mille ce n’è, di vicende avvenute “tanto tempo fa in una galassia lontana lontana”. Star Wars ci assolve tutti, ci sentiamo deresponsabilizzati, abbiamo la coscienza a posto e lo guardiamo a cuor leggero.
Anche Star Trek piace, ma un po’ meno. Perché Star Trek ti inchioda al vero lato oscuro che risiede proprio lì, nel tuo cuore di umano, catapultato nel futuro con tutte le sue imperfezioni e costantemente in lotta e alla disperata ricerca di se stesso, nel perpetuo quanto vano tentativo di superare i propri limiti e proiettarsi verso quell’ideale di infinita comprensione a cui l’uomo naturalmente tende, ma da cui è inesorabilmente tenuto lontano dalle sue cieche paure e dai propri innati confini.
Non farò di tutto per accaparrarmi il biglietto della premiere e non mi vestirò da Luke Skywalker con la vestaglietta, non sono il tipo, ma sicuramente sarò lì a godermi lo spettacolo, con la consapevolezza però di trovarmi in terra straniera e con una visione d’insieme molto umana e terrestre tipica della mia formazione ortodosso-trekkiana. Buona visione a tutti!