L’uomo rischia di annegare nella sua insufficienza cognitiva, come dentro alle sabbie mobili in cui si è dissolto ogni eco di senso. “Nascondersi lo stato di decadenza cui siamo giunti sarebbe proprio il colmo dell’insensatezza.” (Anatole Baju) Il mondo, pieno di trappole, finzioni e inganni, è un allegro falò di vanità, acceso sul Titanic. Il frastuono delle casse di una discoteca o i gradi alcolici di un aperitivo inibiscono la possibilità di muoversi liberamente nel mondo delle apparenze, provocano l’atrofia del pensiero. “Quando non si conosce, è facile essere manipolati'." (Federico Pontiggia). Privati di quella razionalità che ci vorrebbe “svegli” continuiamo a ballare mentre la nave affonda. Non siamo padroni della vita e del mondo, “siamo esseri vaganti in un pianeta che sarà inghiottito dal suo Sole che, a sua volta, esploderà.” (Telmo Pievani). La cultura contemporanea ha messo in atto un processo di negazione della morte, generando e alimentando l’illusione di “uomo eterno” che può tutto.
Ci si muove in direzione contraria rispetto alla storia dell’umanità. Il morire, quello nostro e quello dei nostri cari, ci accompagna ogni giorno, ed è cosa che non si risolve girandosi dall’altra parte. Cancellare la morte dal panorama della nostra esistenza significa eliminare un elemento fondamentale per comprendere chi siamo e orientare sensatamente le nostre scelte. Voler ignorare la morte comporta inesorabilmente sbagliare la vita. Pochi hanno voglia di scommettere su qualcosa che ci riguarda dopo la vita biologica. Si esorcizza l’idea della morte trasformandola in spettacolo, per cui assume i connotati di un gioco pericoloso e per questo affascinante o elargendo sorrisi, come in un grande, unico fotogramma. “Sorridono di cosa? Sorridono per cosa? Non si sa, nessuno lo dice.
Bisogna guardare bene, con attenzione, per accorgersi che non si tratta di un sorriso ma di un ghigno, la smorfia spaurita di chi si trova in un luogo e non ne sa la ragione”.(Susanna Tamaro) Ma questa estraniazione della morte dalla vita fa pagare un prezzo elevato: è la vita stessa che perde sapore. Se la morte non esiste, niente esiste, non c’è un rapporto di valore tra le cose, non c’è fondamento nelle azioni, non esiste memoria, non esiste passato né presente. “Se si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest’ultima... Io so, ora, che vita e morte sono significativamente legate fra loro”. (Etty Hillesum) La consapevolezza della morte è sapienza al servizio della vita, possibilità di far sintesi di una storia personale e comunitaria, di quanto si è vissuto e di quanto si continua a vivere.
La morte è la compagna fissa della nostra vita. Ogni giorno le news ci mettono a contatto con la realtà oggettiva del morire. Allontanare la morte dalla coscienza significa alterare il senso della vita, viverla in una maniera artefatta e contraffatta. Voler ignorare la morte comporta inesorabilmente sbagliare la vita. Si può essere scettici su qualunque cosa ma non sulla morte. La lezione che ci dà la morte ha una grande potenza pedagogica. La visita a un cimitero ci offre un sicuro criterio di valutazione in quanto ci dà il valore della ricchezza, della potenza, del successo. Tutto, alla fine, è niente. La morte è l'ironia su tutto ciò che non ha consistenza.
La morte ci dà il senso del limite delle cose e ci fa scoprire l'impegno verso le cose essenziali. Se con la morte tutto è finito, la vita è la strada del nulla. S. Agostino parla di “mortis profunditas”: la profondità della morte ci mette tra il Nulla e il Tutto, tra la fine e l'eternità. Dal punto di vista statistico, medico e scientifico la morte è un fatto banale, ma la banalità finisce quando si tratta della “mia” morte. Allora diventa il mistero della mia esistenza, il mio dramma, il momento in cui tutta la mia vita acquista un senso oppure no. Se troviamo un senso alla morte scopriamo il senso alla vita. Se la morte non è solamente interruzione della vita biologica ma compimento della vita, l'uomo ha un fine nel mondo il quale non esaurisce il fine dell'uomo.
Il cristiano accoglie la morte come un’apertura alla vita, l’inizio dell'esistenza eterna. “Al momento della morte, non avviene una morte “reale”, perché la nostra natura innata è al di là del tempo...La cosa più importante è ricordare di non essere tristi o depressi, non ve ne sarebbe motivo. Bisogna mantenere piuttosto l’atteggiamento di un viaggiatore che ritorna a casa. Tutti, più o meno, siamo prigionieri delle nostre abitudini, paure, illusioni. Le sofferenze dovrebbero indurci ad abbandonare l’ego, che chiude la strada del ritorno alla nostra natura divina.” (Franco Battiato) La speranza, pertanto, non è nell'uomo e nella storia. “La speranza è un orizzonte di Risurrezione che pulsa passione per la Vita quando attorno la Morte sembra avere l’ultima parola.” (Don Bosco)