Mentre su piano storico si giocano l’evoluzione e le sorti del potere ateniese, il potere di un’Atene ambiziosa e imperialista, animata dalle brame di seducenti demagoghi, Pisetero ed Evelpide, protagonisti della commedia aristofanea, decidono di abbandonare quella stessa Atene per cercare un posto in cui vivere liberi e indisturbati. Cercano un posto ἀπράγμονα (v. 44), apràgmona, senza l’incombere della burocrazia, delle tasse e dei processi, senza l’invasività di una polis limitante e opprimente. Il progetto di Pisetero, dunque, si presenta fin dall’inizio come il tentativo prima di trovare (poi, visto il fallimento della ricerca, di fondare) una città altra, nuova, opposta al reale.
Tra terra e cielo, nello spazio degli uccelli (simbolo di quella libertà e di quella autosufficienza tanto invocate dal protagonista) sorge, dunque, Nubicuculia, l’anti- Atene. La programmatica presa di distanza dalla polis greca si manifesta non solo nella categorica affermazione della liceità di tutto ciò che dall’altra parte è vietato, ma anche e soprattutto nel rifiuto materiale, da parte di Pisetero, di accogliere personaggi desiderosi di fare parte della nuova città. Tra questi si collocano, infatti, volti simbolici della minacciosa e pervasiva burocrazia ateniese (si pensi all’ispettore o al venditore di decreti).
Se la realizzazione del progetto di Pisetero seguisse con successo quanto tracciato nel programma, si potrebbe, forse, ipotizzare una soluzione alle criticità di Atene, all’ambiguità della sua tirannia, alla corruzione. E forse quella soluzione potrebbe risiedere in un ideale che è negazione del vecchio e costruzione dell’altro. Ma il percorso di Pisetero, eroe comico affamato di autoaffermazione, raggiunge risultati diversi da ciò che lo spettatore può prevedere. Mosso dal desiderio di diventare soggetto di potere e di elevare l’io al di sopra del vivere collettivo, Pisetero fa di sé, gradualmente, l’immagine deformata di quegli stessi demagoghi dai quali fuggiva. Pisetero persuade gli uccelli a collaborare alla fondazione della città, per poi cibarsi dei volatili ribelli. Pisetero aizza gli uccelli contro le divinità, per poi confermare il tradizionale potere degli dei e farsi, quasi, doppione di Zeus. Pisetero è sovrano assoluto di una città non dissimile dall’Atene da lui tanto disprezzata. Il germe della paradossalità dell’impresa di Pisetero è rintracciabile, a ben vedere, proprio nella scelta non di costruire da zero una città totalmente figlia della fantasia, strutturalmente diversa dalla polis, ma di replicare i passaggi (fortificazione, sacrificio, oracolo…) tipici della reale fondazione proprio di una polis. Pisetero, in altri termini, sembra non saper immaginare niente di diverso da ciò che conosce. Se tale progetto si può, forse, spiegare alla luce di un’umana tendenza a replicare modalità di azione e di pensiero consolidate, esso è anche, però, segnale di una auto distruzione dell’utopia che sta alla base della commedia. Se anche quella che avrebbe dovuto funzionare da alternativa ai mali di Atene finisce per assomigliare ad Atene stessa, allora è ancora veramente possibile ipotizzare soluzioni? La deriva solipsistica di Pisetero pare sbarrare la via alla ricerca di un altro, di un fuori, di un utopico esterno e ripiega, invece, su Atene. Con disillusione. Dunque non esistono opportunità di trasformazione? Oppure queste sono possibili solo all’interno della polis stessa e a partire da essa? Qualunque sia l’interpretazione accolta, la commedia Uccelli, commedia di apparente, fantasiosa evasione, cela la grottesca inquietudine di un sogno deviato, di un ideale che muore entro l’orizzonte della polis, soffocato dall’ombra di una minacciosa e opprimente realtà.