La Web Application UK è un’azienda di informatica la cui “mission” in home page enfatizza l’importanza di crescere attraverso la cura dei propri dipendenti, specificando anche come ciò avvenga: “amiamo avere un problema da risolvere. La nostra cultura pone una forte enfasi sulla condivisione della conoscenza e sul valore della critica costruttiva. Soprattutto, ci sforziamo di avere un impatto positivo”.
Quando Olivia viene convocata per un colloquio di lavoro tuttavia non sembra che questo testimoni altrettanto fermamente i buoni propositi di cui sopra. Il CEO, presentandosi insieme ad altri due collaboratori intraprende un colloquio ispirato probabilmente più al metodo Guantanamo che non alla selezione per Pippo a Disneyland. La candidata, scoppiando in lacrime per le maniere, paragona la tecnica del selezionatore a quella di un ex fidanzato violento, al limite dell’ossessivo, facendo del suo meglio per intimidirla e prevalere su una donna più giovane nonostante fosse evidente che mi stava mettendo a disagio fino alle lacrime.
Il tweet della ragazza è stato condiviso più di 40.000 volte e visualizzato oltre 140.000
Non si dovrebbe terminare un colloquio di lavoro sentendosi talmente male da piangere alla fermata dell’autobus - ha aggiunto la ragazza - Mi sono trasferita da Manchester a Brighton dopo un anno e mezzo di relazione violenta e le due ore nella stanza con il selezionatore mi hanno fatto sentire come se fossi ancora con il mio ex.
Le conseguenze in termini di centinaia di articoli sui principali giornali inglesi le sta scontando l’azienda sul piano della reputazione e il suo CEO nella sfera più strettamente personale, al punto da essere costretto a chiudere i profili social. Ma al di là dell’episodio riprovevole c’è da fare una considerazione necessaria.
Visitando il sito dell’azienda, oltre alle citate dichiarazioni d’intenti, a piè di webpage compare il doppio “bollino” di Investors in People , società di consulenza che certifica quei luoghi di lavoro che rispondono prevalentemente a tre caratteristiche:
- Creare la giusta cultura per prestazioni elevate
- Conservare un talento prezioso ascoltando i dipendenti
- Ottenere nuove informazioni per supportare la crescita
Nel nostro “Paese delle HR Meraviglie” è cosa nota, o ci si vanta di mirabolanti trattative sindacali o ci si fregia di certificazioni in cui ormai quasi tutte le aziende indistintamente e senza indicazioni specifiche si definiscono “Best Place to Work” o “Top Employer Branding” in seguito a questionari spalmati nella migliore delle ipotesi a tutta la popolazione aziendale e nella peggiore, solo ad alcuni adepti preventivamente selezionati.
Organizzazione e Sviluppo sono due termini sconosciuti nella pratica alla stragrande maggioranza delle direzioni del personale.
Detto questo, siamo proprio certi che i processi e le best practice siano condivise con tutta la popolazione aziendale e che ogni singolo collaboratore aderisca a valori di cui spesso viene a conoscenza solo grazie a dei quadretti appesi nei corridoi?
Visitando le aziende e intervistando candidati provenienti da esse, è evidente lo scollamento fra valori dichiarati e le pratiche quotidiane. Queste certificazioni a mio avviso hanno più lo scopo di inserirsi nel flusso di una comunicazione ormai trita e ritrita, con l’appeal di una vetrina i cui manichini vestono abiti della scorsa stagione. Una pacca sulla spalla autoprodotta da chi ha bisogno di riconoscimenti, in una quotidianità che racconta altre storie.
L’epilogo di questo squallido episodio avrebbe potuto avere un finale ben diverso dalla frase di circostanza nel tono suggerito da certi addetti stampa al capitolo dei finti pentimenti “I direttori sono estremamente rattristati dall'incidente e dall'impatto che questo ha avuto sull'individuo interessato ... cogliamo l'occasione per riflettere sul nostro processo di reclutamento e sulle politiche delle risorse umane”.
Riflettiamo anche noi.