IL Digitale


La guerra per il controllo della privacy continuerà anche dopo il Coronavirus

Le norme a tutela della privacy sono più forti in Europa rispetto ad Estremo oriente ed America, ma la necessità di controllare la diffusione del Coronavirus ha rimesso in gioco il nostro diritto individuale rispetto a quello pubblico della salute.

Gli esempi di Cina, Corea del Sud e Singapore, dove il cellulare viene usato per tracciare i movimenti dei cittadini fino a determinare se sono entrati in contatto con dei contagiati, o se son scappati di casa, mostrano un chiaro vantaggio tanto nell’analisi del virus quanto nelle politiche di contenimento.

Grazie a queste tecnologie sappiamo con certezza del possibile contagio da parte di asintomatici, come pure che ogni portatore può infettare tre persone in pochi minuti o nove persone in un breve tragitto su traporto pubblico.  In Cina quest’opera di tracciatura ha portato a scoprire che il 60% dei casi sfugge ai controlli. A tal proposito si veda:

https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.03.03.20030593v1

Ora che la pandemia cresce a ritmi rapidi anche in USA, abbiamo Google che mette a disposizione strumenti usati dal personale medico per tracciare i movimenti di pazienti e loro contatti, mentre i fornitori di telefonia danno evidenza di chi scappa da New York per rifugiarsi (e magari contagiare) in altre città della costa orientale del paese.  In America non s’è ancora iniziato a multare o arrestare imprudenti ed indisciplinati, ma è chiaro che stiamo arrivando rapidamente ad un regime di controllo tanto severo quanto quello che si vedeva nei filmati da Wuhan.

Da ultima la Germania, che ha finora faticato nell’ammettere la scala del contagio domestico, s’è decisa ad adottare una soluzione molto simile a quella di Singapore. Ecco a proposito un articolo del New York Times:

https://www.nytimes.com/reuters/2020/03/30/technology/30reuters-health-coronavirus-germany-tech.html 

Parrebbe quindi scontato dedurre che la tracciatura delle nostre impronte digitali dia vantaggi ben maggiori rispetto alla perdita di privacy individuale, ancor più considerando che non tutti sono disciplinati nel restare a casa. Tuttavia, l’accettare questa completa trasparenza nel momento di crisi del Coronavirus non significa lasciarla per il futuro.

In USA ricevo puntualmente promozioni mirate al profilo che le aziende fanno di me tracciando spostamenti, comunicazioni ed acquisti: non sono mai convenienti.  Sempre in America, una serie di informazioni personali può essere venduta ad aziende che le usano per fini ancora meno nobili che il semplice commercio dei loro prodotti o servizi, al limite della truffa.

Se pensiamo a giovani, anziani, o in generale a chi sia meno avvezzo a queste pratiche poco etiche (seppur legali e logiche), è ovvio che si debba riprendere il controllo della privacy a valle di questo momento di crisi per il Coronavirus. Altrettanto ovvia è la resistenza che faranno multinazionali e lobby a questa volontà, per continuare a vedere bene cosa facciamo e dove andiamo, e magari il nostro stato di salute. Avranno ragione nel dire che il Coronavirus non ci lascerà in pace per qualche anno, e nell’argomentare che sue mutazioni torneranno periodicamente come altre pandemie. Il bilancio dei morti in Paesi più protettivi della privacy, come Italia e Spagna, rispetto a quelli più pro-sociali come Cina e Corea, darà manforte a chi vuole ridurre il nostro diritto alla privacy.

Resta valida una raccomandazione fatta nei primi numeri di questa rubrica: createvi più profili, segnalatevi in posti ed abitudini che non sono le vostre, confondete le tracce digitali che lasciate.

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