Università


Si muore più di indecisione che di burocrazia

Ciò che è davvero inequivocabile dell’articolo di Antonio Scurati sull’Università è che – a parte le parole di rito – alla politica l’Università interessa poco. I professori sono 50.000, neanche lo stadio di San Siro.

Poca gente e pochi voti. In più, a differenza dei magistrati, si tratta di persone poco pericolose, per mancanza di seguito e potere. L’Università italiana muore per troppa burocrazia? Certo, la burocrazia è molto aumentata, ma forse quella più ingombrante non è legata alla valutazione ma all’infinita rendicontazione quando uno vince un finanziamento e, più in profondità, alla mentalità progettuale stessa, che assegna fondi in base a cumuli di carta che ipotizzano ricerche da fare invece che premiare le ricerche fatte. In questo senso, il problema non
è l’inserimento della ricerca di un modello di mercato, ma che il modello di mercato è quello del CEO capitalism fatto di molte parole progettuali (e molto corrette) e di poca sostanza. Basta che le carte siano belle e a posto e il gioco è fatto.

Tuttavia, non è la burocrazia il problema né tantomeno la valutazione, che ha tanti problemi di merito ed è difficile da esercitare con equilibrio, ma ha fatto più bene che male e migliorerà. Il problema effettivo è che il sistema universitario italiano non ha mai preso una direzione chiara. Con la riforma del 3+2 si voleva una laurea semplice di massa, subito spendibile sul mercato del lavoro, facile da conseguire e di qualità standardizzata (bassa). A essa, come nel modello americano, dovevano seguire una laurea magistrale e un dottorato super elitari, di altissima qualità. In realtà la riforma non è mai stata digerita. La laurea triennale non viene considerata sufficiente da nessuno, né dai prof né dal mondo del lavoro. Il livello non si è abbassato  abbastanza e laureiamo poche persone (23% è la percentuale dei laureati italiani, la più bassa in Europa, fatta eccezione della Romania) e molto tardi (i nostri entrano a 25-26 anni nel mondo del lavoro, contro i 22-23 degli USA).

Così i nostri laureati rimangono svantaggiati nella competizione globale e senza i vantaggi della preparazione eccezionale delle precedenti  generazioni. Tuttavia, pur non essendo digerita, la riforma non è mai stata rigettata. E così  siamo nel mezzo, bloccati fra due modelli, senza accoglierne nessuno, e quindi trovando effettivamente pesante una burocrazia che non sembra rispondere a uno scopo. Insomma, l’Università non muore di burocrazia ma di indecisione.

© Riproduzione riservata.
Zafferano

Zafferano è un settimanale on line.

Se ti abboni ogni sabato riceverai Zafferano via mail.
L'abbonamento è gratuito (e lo sarà sempre).

In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Eugenia e Massimo Massarini (Torino): studentessa di medicina e medico
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Roberto Zangrandi (Bruxelles): lobbista