Poca gente e pochi voti. In più, a differenza dei magistrati, si tratta di persone poco pericolose, per mancanza di seguito e potere. L’Università italiana muore per troppa burocrazia? Certo, la burocrazia è molto aumentata, ma forse quella più ingombrante non è legata alla valutazione ma all’infinita rendicontazione quando uno vince un finanziamento e, più in profondità, alla mentalità progettuale stessa, che assegna fondi in base a cumuli di carta che ipotizzano ricerche da fare invece che premiare le ricerche fatte. In questo senso, il problema non
è l’inserimento della ricerca di un modello di mercato, ma che il modello di mercato è quello del CEO capitalism fatto di molte parole progettuali (e molto corrette) e di poca sostanza. Basta che le carte siano belle e a posto e il gioco è fatto.
Tuttavia, non è la burocrazia il problema né tantomeno la valutazione, che ha tanti problemi di merito ed è difficile da esercitare con equilibrio, ma ha fatto più bene che male e migliorerà. Il problema effettivo è che il sistema universitario italiano non ha mai preso una direzione chiara. Con la riforma del 3+2 si voleva una laurea semplice di massa, subito spendibile sul mercato del lavoro, facile da conseguire e di qualità standardizzata (bassa). A essa, come nel modello americano, dovevano seguire una laurea magistrale e un dottorato super elitari, di altissima qualità. In realtà la riforma non è mai stata digerita. La laurea triennale non viene considerata sufficiente da nessuno, né dai prof né dal mondo del lavoro. Il livello non si è abbassato abbastanza e laureiamo poche persone (23% è la percentuale dei laureati italiani, la più bassa in Europa, fatta eccezione della Romania) e molto tardi (i nostri entrano a 25-26 anni nel mondo del lavoro, contro i 22-23 degli USA).
Così i nostri laureati rimangono svantaggiati nella competizione globale e senza i vantaggi della preparazione eccezionale delle precedenti generazioni. Tuttavia, pur non essendo digerita, la riforma non è mai stata rigettata. E così siamo nel mezzo, bloccati fra due modelli, senza accoglierne nessuno, e quindi trovando effettivamente pesante una burocrazia che non sembra rispondere a uno scopo. Insomma, l’Università non muore di burocrazia ma di indecisione.