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Il rimorso degli early adopters

Early adopters sono quelle persone che per prime comprano un nuovo prodotto, spinti da un misto di vanità dell’esser riconosciuti come innovatori, buona volontà nell’aiutare nuove aziende a crescere, ed imprudenza nel dotarsi di cose che a malapena han passato lo stadio prototipale. Chi vi scrive è tra questi scellerati: nel corso degli anni ho sprecato centinaia di dollari per calzini che mi dicevano come correre, cuffiette che mi avrebbero insegnato a...

... nuotare meglio, sensori sparsi che dovevano trasformarmi in un triatleta degno del nome. La moglie non mi frena, essendo anche lei nel novero e comprando l’ultimo grido di gadget per cucina e fotografia. Nel corso degli anni siamo diventati amici di molte start-up, e questo ci piace molto, mentre il conto in banca ha sofferto dei tanti incauti acquisti.

Il rimorso degli early adopters è la presa di coscienza che per migliorare le prestazioni nel triathlon è meglio rivedere dieta ed allenamento che dotarsi di prototipi elettronici, che forse abbiamo comprato qualcosa di troppo innovativo rispetto al contesto in cui siamo, che sarebbe meglio aspettare. Oggi il 46% dei proprietari di auto elettrica è affetto dallo stesso rimorso: tornassero indietro non comprerebbero l’EV che han preso. Come mai?

Innanzitutto, i prezzi sono scesi in modo importante: auto che prima si compravano con $60.000 ora vengono vendute a $48.000, e le prospettive sono di cali ulteriori. Chiaro che chi abbia comprato per primo si senta un fessacchiotto, e chi stia valutando ora di farlo sia imbarazzato di fare la stessa fine. I produttori cinesi lanciano EV di buona qualità a prezzi stracciati, e sappiamo tutti che le tariffe del 100% imposte da Biden valgono poco: il commercio tra Messico e stati del sud ci fa vedere che EV al 30% in meno dei nostri hanno una buona trazione.

In secondo luogo, e questo è il rimorso di non averci pensato prima, la constatazione che lo stato dell’infrastruttura di ricarica ed i tempi per riempire la batteria, sono proibitivi. Un’inchiesta a Los Angeles ha mostrato che il 47% dei charger cittadini era indisponibile: tra quelli fuori servizio, quelli in cui la carta di credito non veniva autorizzata, gli altri messi fuori combattimento dal software, chiaro che ti venga l’ansia di restare piantato senza corrente. Anche in questo caso la mano pubblica spaventa: dopo aver speso $7 miliardi, abbiamo installato 8 caricatori pubblici, un grado di spreco che solo la nostra difesa normalmente raggiunge. Anche i giornalisti filo-Dem, intervistando il nostro ministro dei trasporti Pete Buttgieg, son scoppiati a ridere quando lui ha provato ad illuderci che con quella cifra adesso ne avrebbe installati decine di migliaia.

Infine, la velocità dell’innovazione tecnologica suggerisce che entrare oggi nel mercato sia molto rischioso. Mentre la maggior parte dei caricatori esistenti eroga potenze tra i 22kW e 50kW e richiede ore per una ricarica completa, le aziende automobilistiche stanno sviluppando prese molto più potenti, dai 320kW di Porsche, 450kW di Lotus e 500kW di Li Auto fino ai 1000kW in test in Mercedes. Con queste potenze in due minuti carichi autonomia per 150-200km, rapidi come alla fermata tradizionale dal benzinaio. Piccolo problema: per scalare questa tecnologia devi cambiare cavi, caricatori e mettere delle belle batterie in tutti i punti di ricarica: un lavoro per Super Man, o uno spreco immondo per il prossimo Presidente.

A fare gli early adopters ci si sente bene, convinti che l’innovazione ci porti a correre più veloci, far fotografie stupende, mitigare il cambiamento climatico, ed in effetti è così, ma in misura inferiore rispetto alle aspettative iniziali. Occorre imparare a distinguere tra sogni e realtà, per evitare il rimorso.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
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