... sono esili, quattro pagine, "neanche un quinterno", spolverando un termine che mi riporta alle elementari, medie e alle odorose cartolerie nei giorni dei compiti in classe sui fogli protocollo.
In effetti, la bozza d’opinione della commissione Industria, trasporti, ricerca ed energia del Parlamento Europeo sull’impatto dei parchi eolici sull’industria della pesca è cosa su cui Bonino avrebbe tenuto banco per mesi sul crinale della reciproca considerazione del diritto d’uso delle acque e del diritto di pesca, finendo probabilmente con rispetto reciproco e condiviso dei punti vista.
I nove punti di raccomandazione della bozza d’opinione della commissione ITRE sono piuttosto imperativi. Cari pescatori, abbiamo bisogno di azzerare al più presto (2050?) le emissioni di carbonio e arrivare almeno al 32% di produzione elettrica da fonti rinnovabili. Abbiamo bisogno di produrre sempre nel 2050 almeno 450 gigawatt dalla forza del vento. Un gigawatt equivale a un milione di chilowatt; attualmente ne produciamo 25 a livello UE.
Il problema è lo spazio in mare. Spazio che è usato da rotte marittime, rotte pescherecce. Un parco eolico copre miglia quadrate che impongono a mercantili e altro naviglio di tenere conto della densità dei piloni e delle eliche dei giganteschi mulini a vento. Sono alti da 25 a 100, 130 metri (ma la più alta torre del mondo si trova in Germania, a Lassow, e misura 205 metri). Quelle in Puglia, per esempio quando la pala raggiunge il punto più alto, la punta è a 180 metri di altezza, pesano oltre 550 tonnellate e sono sostenute da torri di cemento armato pesanti 2.500 tonnellate. Il perimetro di rispetto per ogni torre può quindi diventare rilevante.
Hornsea One, Mare del Nord inglese, il più grande parco eolico offshore del mondo, copre un’area di circa 400 chilometri quadrati, due volte Milano, come aveva efficacemente titolato il Sole 24Ore dandone notizia. Hornsea One produce, quando tutto marcia, più di una centrale nucleare, ma rimane sempre a solo 1,2 dei gigawatt che servono ai 450 necessari. Diceva il Sole un anno e mezzo fa: "Hornsea One, peraltro, è solo il primo di quattro campi eolici contigui, che sono già stati appaltati e arriveranno a una potenza finale di almeno 8 gigawatt, equivalente a 8 centrali nucleari", su un’area, mal contata, pari quindi a 8 volte quella di Milano.
Qui entra in discussione la compatibilità di aree di mare così vaste con le altre attività della "blue economy". Gli allevamenti di pesce, non solo la pesca d’altura. Le rotte container, i traghetti, le altre navi commerciali. E il naviglio militare immerso ed emerso. Un bel casino.
La lobby del merluzzo (non ridete, è potentissima) e consocie ispirano un punto cardine del parere parlamentare: lo spostamento delle rotte può essere molto dannoso per la pesca; l'uso multiplo delle aree marittime deve essere considerato fin dall'inizio dei processi autorizzativi e i parchi eolici offshore devono essere posizionati in modo da tenere conto delle esigenze del settore della pesca. Trattative senza fine in futuro; l’importante che non vada a finire come per le quote-latte...
La conseguenza è la richiesta di una solida valutazione d’impatto fatta alla Commissione Europea. Si tradurrà in una complicata procedura interservizi in cui una mezza dozzina di Commissari avranno il loro parere da esprimere. Nessuno, apparentemente, è permeato dalla saggezza preveggente manifestata da Bonino molte volte nel suo ruolo di commissario. La lista dei dossier da tenere d’occhio si allunga. Nel frattempo, la torpedine, il pesce piatto e orribile che arriva a sprigionare fino a 220 watt (la corrente di casa), da pesce povero scartato già a bordo dei pescherecci e poco amato nelle zuppe, se non da rari e raffinati chef, diventerà pregiato e ricercato. Battuta facile: un futuro elettrizzante.