...il senso di colpa per aver scatenato l’ultima guerra e l’esser responsabili di milioni di morti scava tutt'ora abissi nelle coscienze. Di certo però le arti e la poesia sono sopravvissute. In particolar modo colpisce che siano stati proprio due artisti tedeschi a affrontare in modo diretto e inequivocabile il tema, due artisti del calibro di Gerhard Richter e Anselm Kiefer.
Richter riprende, con la novità del suo stile pittorico che reinterpreta l’effetto sfuocato della macchina fotografica, le immagini della storia di quegli anni, comprese le famose fotografie scattate dall’Armata Rossa all’interno dei campi, al momento della liberazione. Ciò che colpisce in questi quadri in bianco e nero è la distanza che l’autore mette tra se e l’opera e una sorta di fredda disperazione, che trova il suo punto di equilibrio semplicemente nella sua velata asciuttezza.
Anselm Kiefer invece reagisce riferendosi a Paul Celan, il grande poeta ebreo sopravvissuto ai campi (ma poi morto suicida), autore anche di una celebre lirica, diventata simbolo dell’Olocausto, Todesfuge, e dedicandogli una serie di opere fin dalla fine degli anni Sessanta.
Le poesie di Celan sono brevi ed ermetiche ma escono dalla pagina come macigni, Kiefer negli anni Ottanta approda al monumento, con i suoi colossali fogli di piombo e le sue torri di cemento, essi stessi macigni. Il piombo, elemento primario delle sue installazioni, lo acquista in occasione del restauro del Duomo di Colonia: tutto il tetto ne era ricoperto. Esso è un materiale per le idee, con un certo afflato mistico, al gradino più basso della scala alchemica per l’estrazione dell’oro. Quel metallo viene modellato, inciso, corroso da Kiefer per creare oggetti di altra natura, come libri e biblioteche, vestiti, aerei, carri armati.
Il piombo di Kiefer è forse la metafora più potente e sublime del senso della morte (oltreché della colpa e della vergogna) ma al contempo, una possibile via di metamorfosi alchemica e spirituale.