La misura di Milano cambia e viene letteralmente invasa da una miriade gioiosa di nuovi segnali, manifesti, bandiere, striscioni, colonnine esplicative, roll up, totem dai colori sgargianti e seduttivi e alla fine anche per i milanesi più riottosi l’atmosfera è comunque di festa. Accanto a tutta questa massiccia presenza pubblicitaria, si fanno largo per la città i manifesti dei “Nuovi mostri”, la nostra avanguardia artistica, ve ne ho parlato nello scorso articolo.
Tra questi spicca l’opera di Marcello Maloberti, il cui lavoro consiste in frasi scritte a mano su manifesti bianchi, in stampatello. Frasi spezzate, frasi iconiche, ironiche o da bar che sembrano svuotare il linguaggio dall’interno. Maloberti lavora con spirito “poetico”, utilizzando il medium dello slogan: uno slogan scritto come scriverebbe un bambino, con una scrittura un po’ malferma, da elementari, dal contenuto sfuggente, il più delle volte di una banalità assoluta, ai minimi termini.
Di certo costruisce una provocazione visiva, fa suo quello che Baudrillard dice della pubblicità, e cioè che è un dominio immorale, perché ci libera dalla tirannia di ogni giudizio, consegnandoci tutta una serie di immagini che non ci obbligano più a niente. Il piacevole si impone nella sua leggerezza.
Ma alle volte però gli accade, forse senza volerlo, di volere dire ancora qualcosa, come in quel post sottosopra e sibillino su Instagram: “La bellezza porta sfiga”. Ma perché arrivare a questo punto? Il Martellate Project pensa di arrivare al nocciolo della questione ma lo fa in modo pesante e sgraziato e con questa frase fa piazza pulita di tremila anni di storia, come se avesse appunto martellato la Venere di Milo o buttato la zuppa sulla Monna Lisa. Non è né ironico né sagace. Se la questione è avere uno spazio libero in cui giocare e spernacchiare, senza alcuna finalità se non l’effetto speciale, allora si tenga del tutto lontano il messaggio: il contenuto non deve più esistere proprio per giocare pienamente, con maggiore fluidità e irresponsabilità. Bisogna mantenere quell’algido vuoto libero e non sfociare mai nell’osceno, cioè in “ciò che pone fine ad ogni rappresentazione”, altrimenti si è perduti nel più amaro nichilismo.
Son tornata sul suo account e ho visto che quel post era stato cancellato. Bene.