Il divario tra chi ha bisogno di assistenza e chi può fornirla si allarga, con effetti diretti su bilanci familiari produttività e sostenibilità del welfare. Chi paga questi costi? Come evitare di aumentare le differenze sociali?
Possono venirci incontro tre effetti economici rilevanti. Primo: le tecnologie assistive e i servizi di coordinamento digitale possono compensare la diminuzione di caregiver familiari restituendo tempo a chi oggi riduce o abbandona l’occupazione per assistere i propri cari, con un recupero potenziale di centinaia di migliaia di unità lavorative equivalenti. Secondo: molte soluzioni hanno usi “dual use” che aprono a nuovi mercati: robot collaborativi, esoscheletri, sistemi di supporto alla mobilità, software predittivi e sensori intelligenti possono essere applicati anche in manifattura, logistica, turismo accessibile, edilizia intelligente. Terzo: una popolazione anziana adeguatamente supportata può rimanere attiva più a lungo, come consumatore esigente, lavoratore flessibile, mentore, volontario, generando capitale sociale.
La domanda di cura coinvolge un intero ecosistema di tecnologie: robotica assistiva, domotica, sensori, telemedicina, piattaforme digitali di coordinamento e dispositivi di monitoraggio continuo. Il mercato globale delle tecnologie assistive vale oltre 20 miliardi di dollari e potrebbe superare i 30-32 miliardi entro il 2030, spinto dall’invecchiamento e dalle cronicità. L’Italia, con competenze avanzate in meccanica, elettronica, meccatronica, design e in una manifattura capace di personalizzare soluzioni, può candidarsi a diventare uno dei distretti mondiali di questa nuova “industria della cura”.
Serve però anche un quadro pubblico che condivida rischi e benefici con famiglie e imprese. Unite a nuovi approcci assicurativi, politiche fiscali mirate potrebbero finanziare crediti d’imposta o voucher per l’acquisto o il noleggio di tecnologie assistive, con tetti di spesa progressivi per non penalizzare i redditi medio-bassi. Programmi nazionali di formazione e riqualificazione, integrati in percorsi ITS e universitari, possono creare nuove figure professionali ibride: tecnici della cura digitale, progettisti di ambienti longevity friendly, operatori socio-sanitari esperti di robotica leggera. Nuovi modelli abitativi (cohousing intergenerazionale, condomini intelligenti, quartieri della longevità) permettono di testare su scala urbana soluzioni integrate tra sanità, servizi sociali e filiere produttive. Servono infine infrastrutture (banda larga, case e città sensorizzate), filiere produttive (cluster regionali che uniscono imprese, ricerca e servizi) e governance dei dati, per garantire sicurezza, interoperabilità e protezione della privacy.
La longevità diventa così un nuovo campo di sviluppo industriale e sociale, da governare con coraggio: trasformarla da costo a investimento di lungo periodo è una delle poche strategie nazionali possibili nei prossimi decenni. Non abbiamo più tanto tempo per metterla in campo. I lavoratori stranieri per l’assistenza domestica e ospedaliera stanno diminuendo, Torino ne ha persi ben 6000 negli ultimi 3 anni. Ne parleremo la prossima settimana.
