Al cuore della polemica c'è la progressiva messa in ombra del suo protagonista originale: Gesù di Nazareth. Definirlo "Natale laico" appare un vero e proprio ossimoro. La festa, nata per celebrare un evento spirituale fondativo, ha perso il suo centro teologico, trasformandosi in una "festa di compleanno senza il festeggiato". Rimane il contorno: lo shopping, i regali, i banchetti sfarzosi. Spesso, la motivazione di questa trasformazione è il desiderio di "rispetto" per la multiculturalità, che si traduce nel timore di urtare sensibilità diverse.
Ma questo processo di auto-censura è considerato da molti una falsa accoglienza. In nome di un rispetto esteriore si finisce per rinnegare le proprie radici culturali e storiche. Andare incontro all'altro non significa cancellare sé stessi, ma offrire ciò che di più autentico si è. Secondo diverse analisi storiche, la scelta del 25 dicembre affonda le sue radici nelle tradizioni pagane, in particolare nella celebrazione del solstizio d'inverno e della “Nascita del Sole Invitto”.
Quando il Cristianesimo divenne religione di Stato, la Chiesa scelse strategicamente di sovrapporre la celebrazione della "Luce del Mondo" (Cristo) alla festa pagana della rinascita del Sole. Lo scambio di doni che, pure, risale a usanze pre-cristiane rende il Natale, per i non credenti e per alcuni credenti più rigorosi, una festa dalle radici pagane, non una ricorrenza voluta o ordinata da Dio. Il Natale è associato a un doppio paradosso: teologico, perché non è ordinato dalle Scritture e si basa su un'assimilazione pagana; laico, perché, nonostante il tentativo di secolarizzazione, è intrinsecamente legato a un evento religioso fondamentale. Al di là delle dispute teologiche e culturali, il Natale esercita anche un profondo impatto sulla sfera personale, rivelando le nostre fragilità.
Per molti, questo periodo festivo non è sinonimo di gioia, ma di malinconia, ansia e solitudine. I giorni di festa, con la loro pausa forzata, eliminano le distrazioni quotidiane, costringendoci a stare con noi stessi. Tale silenzio espone le ferite: i lutti, le relazioni interrotte, il senso di colpa per le occasioni mancate. Ci si confronta con l'ideale di felicità ostentato dai social media e dalla pubblicità, amplificando un senso di inadeguatezza. Inoltre, il ritrovo con la famiglia d'origine può innescare la "regressione festiva", cioè si torna automaticamente nei vecchi ruoli dell'infanzia, riaccendendo dinamiche e conflitti mai risolti. Dal punto di vista psicologico, il vero significato del Natale risiede in una pausa obbligata, un momento che, superando le difficoltà emotive, può essere inteso come metafora di rinascita, rinnovamento e speranza. Non è necessario odiare la festa, piuttosto, è cruciale comprendere ciò che essa ci ricorda (mancanze, affetti, conflitti irrisolti). Accogliere i propri sentimenti di tristezza e affrontarli è la chiave per dare un nuovo, autentico significato alla Festa, che, dunque, non è per tutti un giorno di tregua.
Per molti è un momento in cui l'asprezza dell'esistenza si fa più sentire. Pur sapendo che non tutti possono essere raggiunti, è proprio l'atto di spalancare il cuore a questa liturgia d'amore, come si spalanca una porta alla persona più amata, che lasciamo fuori il fastidio intollerabile di un “natale accessorio” che frastorna, travisa, che è più baraccone che culla di speranze. Che sia cristiano, pagano, o laico, il Natale rimane un'occasione potente per riscoprire il valore profondo del legame umano e della speranza, indipendentemente dalla mangiatoia.
