Sei anni fa, prima della sciagura del Covid, con l’amico e filosofo Giovanni Maddalena, scrivemmo, da scenaristi, un libro “Uomini o Consumatori? Il declino del CEO capitalism”. A lungo dibattemmo se mettere o meno il ? dopo capitalism. Immagino che molti allora ci considerarono profeti stravaganti.
Per quattro settimane rispetterò un “fermo pesca natalizio” che mi sono autoimposto. Sarebbe cosa saggia se lo facessero anche tutti gli altri Editori, di libri, di quotidiani, di talk, di destra, di sinistra, di centro, per ripensare le proprie linee editoriali a fronte dei cambiamenti selvaggi di contesto e di scenario, di cui mi auguro finalmente si accorgano. La traiettoria del CEO capitalism, basato sulla filosofia consumistica del “utilizza subito tutto quello che hai e ipoteca tutto quello che non hai”, assomiglia sempre più a quella di una stella cadente.
Possibile che noi editori, dotati di antenne più sensibili di quelle dei comuni mortali, politici compresi, atte a capire in anticipo i trend futuri, non ci decidiamo a mettere in fila problemi e decisioni prese in questi ultimi sei anni, e facciamo una doverosa, probabilmente crudele autocritica? Quanti nodi abbiamo fatto che ora stanno arrivando in contemporanea al pettine e noi, terrorizzati, non sappiamo che fare per scioglierli o per tagliarli? E cerchiamo altrove il colpevole senza ammettere che siamo noi i colpevoli. Chi comanda è sempre o il vincitore o il colpevole.
Sono giorni, settimane, queste a cavallo dell’anno nuovo, in cui il “Nodo Guerra Ucraina” le 27 + 1 leadership europee devono o scioglierlo o tagliarlo. Tertium non datur!
L’idea del fermo pesca la reputo saggia. Come innamorato del pesce povero ligure (lo consumo solo crudo, qualche goccia di olio taggiasco e granelli di sale di Cervia) mi chiedo, banalmente: perché i ristoranti della zona non comprino i pesci appena pescati da Simona, come hanno sempre fatto?
Perché si riforniscono da supermercati invasi o da imbarazzanti pesci dell’Oceano Indiano o da quelli coltivati in vasche simili alle nostre carceri di massima sicurezza? Intendiamoci, tutti in grado di rispettare le normative brussellesi, norme formalmente impeccabili ma che sembrano costruite ad uso e consumo degli interessi lobbistici altri.
Oppure, perché riciclare la plastica nostrana quando il mercato, cioè i diversi processi produttivi che la utilizzano, pare non siano più in grado di assorbire quantità diventate ormai eccessive di prodotto riciclato? Un’autorità, come l’amico Chicco Testa, lo spiega dettagliatamente (cfr. Il Foglio) in termini di mercato: Il prezzo (forse manipolato?) delle “plastiche vergini” provenienti da Oriente è banalmente di molto inferiore ai costi delle “plastiche riciclate” nostrane, per cui i nostri industriali preferiscono chiudere gli impianti piuttosto che lavorare in perdita. E i Comuni più sono virtuosi più hanno sempre più difficoltà a liberarsi della raccolta differenziata prodotta! Chi l’avrebbe mai detto che la mitica guerra santa d’allora sarebbe finita così?
E ancora. Perché giovani patrizi di status o di complemento sono andati a devastare la redazione del quotidiano a loro politicamente più vicino, lasciando sui muri scritte ignobili stile Brigate Rosse (copyright del direttore Andrea Malaguti)? Sullo stesso quotidiano è riportato in calce un pezzo dello psicanalista junghiano Stefano Carpani intitolato “Dietro l’ipocrisia c’è la segreta attrazione per il male”. La risposta la troveremo forse nel mitico Libretto Rosso di Carl Jung?
Ricordate? Prima del Virus di Wuhan il verbo più usato nell’accademia, nelle redazioni giornalistiche, nei salotti patrizi, era contaminare. Quelli della Ruling Class euroamericana erano entusiasti della contaminazione, la classe media doveva contaminarsi con quella operaia, questi a loro volta contaminarsi con gli immigrati regolari e questi con gli irregolari Come ovvio, questa colta strategia non valeva per il Patriziato, costoro si erano già contaminati con quelli degli speculari salotti cosmopoliti euroamericani, avevano gli stessi valori e disvalori, stessi vizi e virtù, parlavano la stessa lingua (l’inglese) avendo studiato, sugli stessi libri, negli stessi atenei coperti d’edera.
Dopo il Covid, il verbo contaminare fu messo all’indice, persino nell’haute cuisine, solo il pepe di Sichuan sarebbe sopravvissuto alla grande purga!
E ancora, continuo a chiedermi perché i miei colleghi editori non usino queste vacanze di fine anno per riflettere, da soli, senza consulenti, con mente aperta, se il loro modello di business e il loro modello organizzativo non debbano essere finalmente cambiati. Intanto, Sundar Pichai, CEO di Google, ipotizza un mercato che metterà in discussione addirittura proprio loro, gli editori tradizionali, ormai sempre più spesso bypassati da creatori di contenuti che interagiscono, senza più mediazione alcuna, direttamente con IA. Se gli editori tradizionali perdono così il loro ruolo storico di maggiordomi del potere patrizio, che da sempre fingono di monitorare con uno pseudo giornalismo investigativo, l’immagine della mitica libertà di stampa occidentale, crollerà rovinosamente.
Ci dobbiamo forse spiegare così la volontà devastatrice dei giovani patrizi del centro sociale torinese Askatasuna contro i loro colti genitori-mentori, stupefatti e traditi da tanta volgarità rivoluzionaria? Questi, immagino si chiedano, giustamente: “Come possono distruggere uno stile di vita nobile al quale sarebbero stati destinati dopo i sabbatici anni alla Che Guevara?”
Nelle quattro settimane di fermo pesca natalizio mi concentrerò sulle 7 parole chiave di IDEA (delega, selezione, formazione, leadership, controllo, tabernacolo, armonia) mettendole a confronto con le 7 parole chiave della mia vita, queste in ordine alfabetico: amore, colpa, giustizia, libertà, morte, potere, tabernacolo.
Come noterete, la parola tabernacolo è l’unica presente nei due elenchi, ed è la parola chiave di IDEA. E pure quella della mia vita.
