Pensieri e pensatori in libertà


Paolo Grossi e la costruzione dal basso del diritto

Purtroppo questa settimana è mancato il prof. Grossi, celebre storico del diritto dell’Università di Firenze, presidente emerito della Corte Costituzionale, che ha gestito in anni difficili. Paolo Grossi era un professore di stile e gusti antichi ma di pensieri innovativi. Parlava un italiano desueto e perfetto, si rivolgeva agli studenti con il “loro”, dava del tu ai colleghi anche se giovanissimi. 

Vestiva impeccabilmente in modo classico e parlava sempre in piedi, in segno di rispetto per l’uditorio. Allo stesso tempo, non faceva mai mancare la sua presenza in luoghi non celebri (per ora!), come l’Università del Molise, ed era sempre felice di parlare ai giovani di ogni tipo di scuola superiore. Elitario e popolare allo stesso tempo, non faceva mistero di un convinto cattolicesimo, lontano da ogni forma di sentimentalismo, propaganda, superstizione.

L’idea innovativa, sulla quale ha formato migliaia di studenti e su cui ha convinto buona parte del mondo accademico, è che il diritto realmente popolare era quello medievale, con i suoi mille legami particolari, costruiti da usi ripetuti nel tempo. Con una metafora calcistica, si trattava della costruzione dal basso del diritto. Al contrario, il diritto della rivoluzione francese, sfociato poi nei codici napoleonici e nel diritto positivo, lungi dall’essere una garanzia di uguaglianza come volevano i suoi fautori settecenteschi, è un’imposizione dall’alto, che crea la finzione di un cittadino “nudo”, privo di legami sociali e identico a tutti gli altri, a loro volta nudi e soli di fronte al potere dello Stato.

In una splendida introduzione a un libro di un suo allievo sulla storia della Chiesa, aveva fatto vedere che anche la Chiesa stessa, a partire dalla stessa Controriforma, si era troppo adagiata su questo modello statalista, centralista e deduttivo – anche in campo morale – perdendo quella libertà e varietà di usi che ne era stata la ricchezza durante l’epoca confusa ma ricchissima della lunga avventura medievale.

Insomma, con Grossi si aveva l’impressione che il diritto vero nasca naturalmente dalla vita sociale, come un fiore da una pianta, mentre la concezione contemporanea del diritto assomigli piuttosto a una costruzione artificiale, un palazzone di cemento da regime sovietico calato su valli che sarebbero altrimenti bellissime.

Per questa concezione popolare del diritto amava la Corte Costituzionale, ritenendola una “valvola respiratoria” del nostro diritto, attraverso la quale il respiro della società poteva arrivare a modificare la rigidità della norma. Certo, ciò apriva alcuni problemi seri, tanto più per un cattolico: se la maggioranza della società (o la maggioranza che si fa sentire) ritiene che il diritto debba comprendere leggi che uno trova disumane o ingiuste, dove si troverà il criterio per rifiutarle, se la Corte dovrebbe solo accogliere il respiro della società? Come distinguere l’evoluzione della società dalla moda che dura qualche anno? Come avrebbe fatto una Corte a rifiutare il razzismo verso gli ebrei voluto dalla maggioranza o come fa a resistere ora alla proliferazione dei diritti, spesso in concorrenza tra loro, di una società super-individualista?

Sono temi belli e importanti, che amici e conoscenti hanno spesso avuto modo di discutere con lo stesso Paolo, che non rifiutava mai la domanda intelligente e che spesso sapeva cogliere, con un eterno sorriso, il lato intelligente di domande mal poste.

Quando vengono a mancare figure di questo genere, viene sempre in mente che il lavoro intellettuale, ormai del tutto screditato, ha ancora un senso e che le battaglie di concezione e di visione sono le più avvincenti e importanti da affrontare, comunque vadano a finire.


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