Musica in parole


La tradizione delle bande

Con la festa del primo maggio si dovrebbe aprire in Italia il periodo più favorevole per le esibizioni dei gruppi bandistici nei cortei, raduni, feste patronali, festival e concorsi anche internazionali. Una grande tradizione italiana, quella delle bande, che da un anno sono però quasi del tutto bloccate dalla pandemia anche per quanto riguarda l’aspetto didattico, con le ovvie difficoltà delle scuole amatoriali sparse sul territorio, fucina di implemento e ricambio per i gruppi bandistici.

L’interesse per questa formazione è anche accademico e da qualche tempo i corsi di Strumentazione e Composizione per Orchestra di Fiati sono entrati a far parte delle discipline di alcuni Conservatori italiani, incluso quello di Torino che ha affiancato a questa realtà la nascita di una Brass Band composta da oltre trenta studenti dei corsi di ottoni e strumenti a percussione.

Riccardo Muti non ha mai fatto mancare il suo sostegno a questo settore e nell’ultimo anno si è speso più volte a denuncia di una situazione grave. Ancora recentemente, pensando soprattutto al sud Italia delle sue origini, il Maestro ha detto “Chi pensa alle bande, a esempio, che sono il vanto del meridione? Ragazze e ragazzi che sono alla fame e a cui non si dà nessuna importanza... ma queste bande sono state il veicolo della cultura operistica del Paese". In effetti sì, per secoli si è dovuta alle trascrizioni per banda di brani operistici e sinfonici la diffusione della lirica e della classica, cultura che ha così raggiunto tanto pubblico italiano altrimenti escluso, lontano dai teatri.
Da tempo il repertorio per banda abbraccia più generi musicali, con trascrizioni anche dalla musica da film, jazz e pop cui si aggiunge un ingente numero di composizioni originali appositamente scritte.

Chiudo ricordando che durante il periodo dell’emigrazione italiana verso l’America, nell’Ottocento, alcuni componenti le bande di musica italiane, una volta raggiunto il Nuovo Mondo (ri)crearono piccoli (e meno piccoli) gruppi bandistici simili a quelli della tradizione italiana. L’apporto più importante anche se poco conosciuto, avvenne per conto di Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti il quale, non contento del livello della Banda della Marina americana e conoscendo la realtà musicale del nostro Paese, nel 1803 diede disposizioni per far arruolare a Catania un gruppo di giovani suonatori in banda: una volta a Washington i musicisti italiani furono inseriti nella United States Marine Band e portarono con successo nuova linfa alla Band che ben presto divenne prestigiosa e nota a tutti col nome di “The President's Own”, la Banda del Presidente degli Stati Uniti. Uno dei membri provenienti dall’Italia, Venerando Pulizzi, ne divenne anche direttore.

Considerando questo vanto, torno al Maestro Muti che sempre a proposito delle nostre bande, l’anno scorso ricordava essere “depositarie di una tradizione strumentale da preservare” per concludere che in generale, tutti “dovremmo essere custodi responsabili della nostra cultura, non gettarla a mare”.

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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite