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Emigrare in America per capire la Superlega

La mia ultima partita di calcio allo stadio è ormai un ricordo lontano: in curva Maratona, in mezzo a migliaia di tifosi del Toro, a cantare, saltare, insultare, sventolare per due ore buone. Attorno a me famiglie, panettiere, taxista, professore di economia ed una marea di ragazzi: ogni singolo tocco di palla era analizzato e prontamente oggetto di incoraggiamenti o improperi. Non posso certo dire di essere un esperto di calcio, ma che bello andare in curva Maratona, una gioia.

Anni dopo, vivendo in Scozia, sono andato a qualche partita di rugby, un esperienza ancora più intensa della precedente: che sia una partita di club rionale o della nazionale, i giocatori ci mettono l’anima in ogni istante e gli spettatori escono dallo stadio sudati come gli atleti.

Poi emigri in America, vai a vedere una qualsiasi partita, dal basket, al calcio, football o baseball, e qualcosa non torna. Oltre a pagare un patrimonio per il biglietto, gli spettatori attorno a te si alzano, vanno a prender da bere, ritornano, riescono a fare shopping, rientrano, facendo veramente poca attenzione a quello che succede sul campo. Tu hai lo stomaco ancora legato per aver pagato $150 per una partita di basket, e questi ti passano davanti di continuo con birra e popcorn. Non parliamo dei tantissimi che arrivano ore prima al parcheggio dello stadio, con il barbecue sul retro del pick-up (truck per gli americani), e si riempiono di burger e birra prima della partita. Sono anche gli ultimi a lasciare lo stadio, quando il livello alcolico gli consente di non esser arrestati per guida in stato di ebbrezza.

Non stupisce che in questo pienone di calorie, tra bibite zuccherate e birra a fiumi, lo sportivo americano sia pronto a comprare di tutto, dalle cibarie, alle magliette e cappellini, a carte di credito, mutui sulla casa, automobili, prodotti assicurativi. Si comprende come le principali multinazionali siano sponsor delle squadre sportive, e non e’ un caso che le pubblicità per gli eventi principali costino milioni di dollari per 30 secondi di passaggio in tv. Chiaro che l’americana JP Morgan fosse pronta ad investire miliardi di dollari nella Superlega calcistica nata prematuramente in Europa.

Stupisce invece che i dirigenti di 12 squadre europee pensassero di adottare il sistema americano senza problemi, come se bastasse comprare un portiere da 60 milioni o un attaccante da 200 per avere chissà quali ritorni sull’investimento. Pare non abbiano speso molto tempo ad analizzare la differenza tra sportivi americani ed europei. Decine di milioni di americani hanno fatto almeno due ore di sport agonistico al giorno alle superiori, milioni ne han fatte sei tutti i giorni all’università, e se continuano a riempirsi di abbonamenti costosi alla tv ed andare allo stadio Covid permettendo, è perché sono cresciuti praticando almeno quattro sport intensamente. Ed ora che sono cresciuti di peso ed atleticamente han perso smalto, sono prontissimi a pagare cifre che noi europei consideriamo fuori dal mondo per un esperienza a noi estranea.

Conoscete un italiano, inglese o francese che andrebbe allo stadio per comprarsi un assicurazione, o un automobile? Se sei tifoso del Toro, perché mai spendere 60 euro per la maglietta di Ronaldo? In America si ragiona in modo diverso: non necessariamente giusto o sbagliato, ma differente. Qui puoi esser tifoso dei Boston Celtics ed andare alla partita di basket con la maglietta di LeBron James e non ci son problemi, al limite ti sparano, come d’abitudine in scuole e supermercati. Questo caso della Superlega rimarrà negli annali delle figure di palta, e schieri di consulenti di comunicazione venderanno pesantissimi powerpoint per spiegarci cos’è andato storto. E’ semplice: se non conosci la differenza tra clienti e tifosi, lascia stare.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite