Risulta banale se pensiamo a come si respingano due cariche positive in una qualsivoglia coppia di magneti posti l’uno dinanzi all’altro. Eppure, nonostante un fisico respingimento, emerge una drammatica indispensabile necessità di contemplare e contemplarci presso il nostro doppio. Ma perché?
In soccorso sopraggiunge primo su tutti Ovidio, quando raccontando il mito di Narciso, riferisce della sua morte: punito da Nemesi per la propria freddezza verso la ninfa Eco, morirà «conoscendo se stesso». Ecco, la colpa del proprio disdegno è sanata tramite un omicidio: quello praticato dall’acqueo doppio sul suo originale terreno. Impossibile è non notare l’incapacità di mettersi in salvo del giovane, sedotto dal proprio riflesso e ucciso dall’impossibile amore per l’eguale immaginato. Spogliata della grazia del mito la rilettura ottocentesca di Fëdor Dostoevskij, dove l’approccio cinico e irridente del russo è condensato nel romanzo Il sosia - Poema pietroburghese. La storia delinea un perenne duello fra il protagonista Jakov Goljadkin e l’antagonista Goljadkin minore, una logorante guerra psicologica che culminerà nella banale rivelazione: il sosia è la proiezione mentale della coscienza di Jakov. Concludo prendendo a prestito un’espressione della tradizione ellenica: «gnoti sauton - conosci te stesso», mi raccomando, tenere lontano da scarichi, acque di superficie e acque sotterranee.