LA Caverna


"Il potere è una parola di cui non capiamo il significato" (Lev Tolstoj)

Esplorare i confini del “potere” e definirlo nei suoi molteplici aspetti è un'operazione complessa che richiede l’analisi di elementi che riguardano l'universo delle pulsioni inconsce dell'animo e, insieme, le dinamiche del sistema sociale. Nella prassi sociale la parola “potere” indica la "capacità dell'uomo di determinare la condotta dell'uomo: potere dell'uomo sull'uomo" (Bobbio-Matteucci-Pasquino 1990). 

Questa definizione, però, non è sufficiente a comprendere in modo esaustivo i significati del fenomeno 'potere'. Nel territorio di confine tra la società e l'individuo si estende una landa deserta, una terra di nessuno, dove la parola "potere" rivela gli scenari inquietanti di una sfida. Il potere, certo, è connesso alle esigenze di controllo, di ordine, di organizzazione e gestione, connaturate nell'uomo. Solo in virtù di queste esigenze e della capacità di soddisfarle, l'uomo, nel passato, ha potuto sopravvivere, fornendo risposte efficaci all'ambiente ignoto e ostile che lo circondava. Gli esperti definiscono il “sistema sociale” come un'entità soggetta a leggi non modificabili dalla volontà individuale, un aggregato regolato da leggi meccaniche, che invece determinano e condizionano i sudditi. Al presente, l’onnipresenza del potere e la sua pervasività informano ogni aspetto della vita individuale e sociale, dalla famiglia alle altre istituzioni più semplici come la scuola, fino ai sistemi più complessi, rappresentati dalle istituzioni politiche e giudiziarie, dal sistema economico e da quello religioso. Nel tempo, questo stato di cose ha partorito, per reazione, forme di contropotere e di controcultura, le cui voci, spesso, si sono modulate sugli assoli di “grandi individualità” che hanno contribuito alla distruzione di sistemi disumani, corrotti e assoluti. Ma da tempo l'“eroismo” è degenerato. Per molti l’eroe è un uomo furbo, senza causa universale, senza orizzonte di bene comune, che ben si destreggia nelle maglie di un vischioso sistema impersonale o, all’opposto, un protagonista sconfitto, un romantico che lotta contro una società ostile, che soccombe ma non si lascia morire nell’anima.Va restituito all’“eroe” il valore di un agire che, nel bene e nel male, ha inciso profondamente sul corpo sociale e sui sistemi politici: nel bene, come servizio reso alla collettività, nel male come impostura, finzione. L'elemento che caratterizza il "potente", è la sua capacità camaleontica che assorbe le impressioni dell'ambiente, ne sintetizza le peculiarità e le voci e se ne fa insieme portavoce e trasgressore. I potenti della terra, i padroni delle anime, i padroni delle macchine, i padroni del denaro formano la classe che domina con la ricchezza e i privilegi. Essi vivono in maniera diversa dai comuni mortali: sono circondati da ossequio e deferenza, abitano in splendidi palazzi, viaggiano su treni e aerei speciali, senza mai mescolarsi con gli altri. La loro diversità si fonda sul mito della irraggiungibilità. Appartengono alla "casta dei separati" e costituiscono una galleria interessante di personaggi. Esercitano sugli altri un carisma enorme, spesso fondato sull’impostura di una presunta “normalità” per il ruolo ricoperto. L’inganno e la seduzione del potere si perpetuano attraverso codici linguistici non necessariamente basati sulla sopraffazione, l’abuso e l’esclusione. Con il dogmatismo, l'autoritarismo e la presunzione di possedere la verità assoluta i potenti hanno trasformato messaggi di salvezza e valori di giustizia in pura violenza. Persino il diritto, che per sua natura dovrebbe essere lo strumento per la riaffermazione della giustizia, è degenerato in un odioso sistema di potere. Sono molti i "teatri" dove il potere ha inscenato la sua recita: l'economia, la politica, i mass-media, le religioni. In questa tenebra di regimi, quelli dispotici e quelli più ipocritamente "democratici", siamo chiamati a difendere l'irrinunciabile tesoro della nostra libertà. Sono sempre esistite le degenerazioni del potere ma il riconoscimento dell'autorità come forza fondamentale del vivere sociale non deve colpire le radici della libertà umana. Non possiamo rinunciare alla nostra autonomia, subordinare la nostra ragione e la nostra volontà a contenuti prescritti da un re o da un Governo, in modo che essi valgano come norme vincolanti solo per la loro volontà (Herbert Marcuse 1969). Ricostruire una coscienza culturale vigile, sensibile, capace di riconoscere le note stonate che risuonano nei discorsi di politici e politicanti significa educarci a scoprire la loro straordinaria capacità mimetica, che deriva loro dall’ineffabile dote di captare i bisogni e le debolezze altrui, di accentuarle e proporsi, quindi, come indispensabili. Le tecnologie delle informazioni ci fanno perdere la ricca realtà dei nostri rapporti scardinando la logica delle opposizioni e delle dialettiche creando il pensiero unico e favorendo l’esaltazione dell’io. In questo contesto, sorge il problema di inventare una nuova concezione del potere. La scomparsa dei principi d'identità e di territorio lasciano un vuoto incolmabile, ma anche offrono indubbie possibilità di riscrivere una nuova grammatica del potere. In questa società banale, confusa e conformista vanno studiate strategie che agiscano come antidoti alla malattia del potere: la creatività, il sorriso, il buon senso, la ragione, la convivenza solidale e pacifica. La “pesantezza di vivere” non è un dato di fatto oggettivo e assoluto, ma la conseguenza di un sistema sociale e di potere dove molte delle prerogative e delle esigenze più autentiche dell’uomo non trovano spazio e strumenti per compiersi. Il potere e l’arroganza della prevaricazione possono scoraggiare chiunque abbia scelto di lottare, inducendo all’isolamento dal mondo, a porsi fuori dagli eventi per ricostruire in solitudine un proprio equilibrio interiore. Non dobbiamo cedere a una simile tentazione, pur nella consapevolezza del buio e degli smarrimenti che tutto questo potrà costarci. Chi saranno gli attori e i protagonisti di questa rivoluzione, l’avanguardia intellettuale che avrà il compito di guidarla? È asserito nelle Sacre Scritture che Gesù disse ai suoi apostoli: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.» (Mc. 10, 42-45) e ancora "Voi sarete il sale della terra". Se può bastare poco sale per dare sapore al pane, possono bastare pochi uomini, con il loro eroico esempio, per smuovere le coscienze di migliaia di altri uomini e per segnare la strada per una diversa dimensione di vita.


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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Alessandro Cesare Frontoni (Piacenza): 20something years-old, aspirante poeta, in fuga da una realtà troppo spesso pop
Emanuel Gazzoni (Roma): preparatore di risotti, amico di Socrate e Dostoevskij, affascinato dalle storie di sport
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro

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