La controffensiva ucraina non avanza come vorrebbe Washington, ed il continuo invio di armi per aiutare a ricacciare i russi conferma al mondo che il conflitto è tra NATO e Russia, con la conseguenza che Putin potrebbe un giorno arrivare a vantarsi di aver sconfitto Biden, anatema. Il pareggio militare avvantaggia la Russia, che probabilmente non pagherebbe danni e nemmeno i debiti ucraini: ad oggi il conto da pagare è mille miliardi. In USA questo scenario è visto come la peste, perché tutti i fondi e le armi inviate finora sono state prestate, non regalate, e devono essere restituiti in dollari o contratti. Con un paese asfaltato e ricoperto di mine per almeno il 30%, l’Ucraina dovrebbe fare sacrifici per tre generazioni per ripagare l’aiuto ricevuto, impossibili se la Russia non paga dazio. Il mondo politico si divide, perché se da un lato nessuno dubita che Putin sia il male assoluto, l’ipotesi di perdere guerra ed influenza internazionale raffredda gli animi di chi dovrebbe approvare ancora $46 miliardi richiesti dal Presidente. Biden si trova una bella gatta da pelare: da un lato il 72% degli ucraini supporta ancora la guerra, ma comincia a dissentire sull’esser mandati al macello. Dall’altro, la possibilità di una sconfitta o rovinosa fuga stile Afghanistan stempera gli animi dei politici. Visto che finora Biden ha sposato la linea di Zelenski del “fino alla fine”, qualsiasi deviazione e seduta al tavolo negoziale sarebbero difficili da spiegare all’elettorato. Anche la tanto attesa dipartita del capo della Wagner, consolidando il ruolo del Presidente russo come unico uomo forte, non dà ragioni di ottimismo.
A casa nostra invece, sovvenzioni e sanzioni non stanno dando quel risultato promesso dal Presidente, di dare più lavoro, e meglio pagato, agli americani. Nonostante i mille miliardi di dollari di investimenti, le operazioni di buy-back azionario e di aumento degli stipendi dei CEO stanno lasciando meno delle briciole ad operai ed impiegati, che non vogliono più stringere la cinghia. Dagli attori, ai dipendenti delle aziende automobilistiche, i sindacati richiedono aumenti di stipendio dal 20 al 40%, costi quel che costi. Biden aveva giustificato sia le politiche di sovvenzione (ai chip, alle energie rinnovabili), sia le sanzioni al commercio internazionale con Cina ed altri paesi cattivi, con la necessita’ di costruire posti di lavoro ben pagati dei suoi cittadini. I posti di lavoro sono aumentati e la disoccupazione è minima, ma l’adeguamento salariale non si avvicina minimamente alle necessita’ di una popolazione dove quasi un quarto fa il doppio lavoro per portare a casa il pasto. Per il cittadino medio vedere i miliardi guadagnati dai pochissimi CEO, altri regalati ai fratelli sparsi tra Ucraina, Taiwan ed gli altri paesi dove esportiamo democrazia e libertà, e poi ritrovarsi un tenore di vita sempre meno agevole, non è bello.
La fortuna di Biden è che Trump è alle strette con i guai giudiziari, gli altri candidati Repubblicani non brillano, e la candidatura democratica di Robert Kennedy Jr. è osteggiata al massimo dall’establishment democratico e dai media compiacenti. Difficile dire come andrà a finire, ma sicuramente il vento è cambiato e per il Presidente si prospettano mesi di buriana.