IL Digitale


Il paradosso di Jevons

William Jevons fu un economista e logico britannico vissuto attorno al 1850, pragmatico e scientifico nel suo approccio a questa disciplina. A lui dobbiamo il paradosso: al miglioramento della tecnologia corrispondono costi inferiori, che portano ad un più grande consumo di quella risorsa, non al risparmio.

Lo vediamo con i pannelli solari, con l’elettronica, e da ultimo con l’intelligenza artificiale: in presenza di un mercato vero, con tanti attori liberi di vendere e comprare senza sanzioni e sovvenzioni (SS), il progresso tecnologico porta ad un aumento dei consumi, non alla riduzione della spesa. Come con i motori turbodiesel: li compravamo tutti grazie a performance ottime e consumi minimi, poi sono arrivate le SS ed hanno ucciso un’industria.

Il recente successo di DeepSeek, seguito dal concorrente cinese Alibaba, ha entusiasmato i tecnici e folgorato i politici, con richieste di denunce per quanto copiato ed addirittura di blocco agli utenti, come ha pensato di fare il Garante in Italia. Chissà cosa faranno i nostri sommi protettori quando capiscano che sono molte le start-up cinesi dell’intelligenza artificiale, da MiniMax, 01.AI, Baichuan, Stepfun, Zhipu AI, Moonshot AI ad altri, e che lavorano bene ed alacremente da due anni in un mercato molto competitivo, sapendone sempre una più del controllore burocrate di turno.

Come le start-up americane sono schiacciate da Meta, Google, Apple e Tesla, così quelle cinesi sono picchiate da Alibaba, ByteDance e Tencent. Da una sponda all’altra dell’Oceano Pacifico il problema è lo stesso: i capitali di rischio dei venture capital e private equity sono in attesa di vedere come evolve la tecnologia. Verso poche multinazionali che costruiscono datacenter imponenti e consumano energia a livello di centrale nucleare, o verso un modello open distribuito, dove il ragazzino vicino di casa magari ti costruisce la killer app quando è ancora alle scuole superiori?

ByteDance fa profitti netti di decine di miliardi di dollari in Cina grazie alla sua applicazione per i video, e non ha problemi a regalare i suoi modelli AI a prezzi minimi. DeepSeek fa lo stesso, dà i suoi modelli alle aziende cinesi per un tozzo di pane, raffermo. È durissima per i ragazzini cinesi competere con questi molossi, allo stesso modo in cui lo è per i coetanei americani cercare di guadagnar terreno sulle FAANG. Ai ragazzini europei invece, privi sia di capitale di rischio sia di multinazionali avanzate, resta lo zaino o una futura carriera da controllore dell’IA d’importazione.

In America oggi il grado di adozione dell’intelligenza artificiale da parte delle aziende si stima in 5% già in uso, ed un ulteriore 7% in adozione. Sono stime che non includono l’uso massiccio che ne fanno i dipendenti: infatti in Cina l’80% delle aziende dichiara di usare gli LLM come parte integrante del proprio lavoro. Il punto centrale dell’allocazione degli investimenti è tutto qui: lasciando stare le SS ed i controllori, l’intelligenza artificiale può essere veramente utile per le aziende? O resterà uno strumento per la produttività individuale che solo di riflesso aiuta i profitti aziendali?

Per non sapere né leggere né scrivere, chi si occupa della crescita d’Europa ed Italia dovrebbe aiutare i giovani ad abbracciare questa tecnologia e farne un uso concreto, producendo servizi e prodotti innovativi, che diano un vantaggio competitivo sul mercato. Prima si fa un prodotto che vende, quindi si crea un mercato che remunera, e solo dopo lo si regola per evitare abusi e rischi. Pensare di immaginare tutti i possibili rischi e legiferare le necessarie protezioni equivale a mettersi due fette di salame davanti agli occhi: utilissime per non vedere la fuga in avanti di Cina ed USA.

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