IL Digitale


Scalare

L’investitore che esamina un’azienda digitale, novella o matura che sia, cerca di capire tre cose fondamentali. Se la tecnologia è funzionante ed affidabile non ci son problemi, se alcuni componenti sono ancora in fase di ricerca o di ingegneria della performance, meglio aspettare.

Il secondo aspetto riguarda la vendita del prodotto o servizio digitale: se ci sono almeno un paio di clienti che hanno pagato per utilizzare la cosa è un conto, al contrario se lo stanno usando in prova gratuita, o se il cliente sta barattando un favore, meglio aspettare. Infine, l’ultimo e più difficile dei quesiti: riesci a scalare? Tecnologia, prodotto e mercato, ti consentono di passare da poche unità a milioni, decine o centinaia di milioni di installazioni vendute?

Quando nel 2014 ho aperto la mia azienda per software di automazione di magazzino, assicurare funzionalità ed affidabilità del prodotto ha richiesto alcuni mesi, come pure vendere ai primi clienti. La squadra di softwaristi e tecnici di campo ha fatto bene, e negli anni quel sistema di automazione è arrivato ad aiutare aziende molto grandi nella gestione della loro distribuzione. C’è un unico grossissimo problema: sono poche le aziende di distribuzione che necessitano di questo livello di automazione, quindi il mercato è piccolo e nessun investitore scommette su qualcosa che non può scalare. L’azienda ha raggiunto un suo punto di equilibrio e non cresce più, amen.

Walt Disney un secolo fa chiese ai suoi collaboratori perché fossero obbligati a crescere. Per il creatore di Peter Pan, per l’azienda che da sempre investe sui ragazzi e chi ancora si sente giovane dentro, una domanda interessante. Oggi Disney è senza dubbio la multinazionale con più brevetti e copyright al mondo, spaziando dai film, ai giocattoli, ai parchi divertimento, a canali digitali per vedere questo o quello, ai personaggi cari a generazioni di ragazzi. Ma la tecnologia per lo streaming, e gli algoritmi di intelligenza artificiale per convincerci a guardare e comprare questo o quello, hanno portato nuovi concorrenti, insospettabili fino a poco fa.

L’anno scorso l’Oscar per miglior film è andato a Coda, un film girato appena sopra a Boston per raccontare la storia di pescatori sordo-muti. Un classico film da Disney: buoni sentimenti, gli eroi che vincono le sfide grazie ad impegno e supporto della comunità, lacrimoni e popcorn per tutti. Il problema è che il film l’ha fatto Apple, che è nei film solo da tre anni. La sofisticazione degli effetti digitali, grazie a potenze di calcolo e rendering sempre in miglioramento, mette alle strette gli studi hollywoodiani. Ho avuto modo di provare un nuovo sistema AI che fa muovere la bocca dell’attore a seconda della lingua richiesta. Quando guardate un film doppiato c’è sempre qualcosa che non torna, perché il vostro cervello percepisce la differenza tra quanto sentite e quanto vedete sulle labbra del personaggio. Tra pochi mesi vi sembrerà di vedere attori americani che parlano italiano, resterete sorpresi: a voi decidere se in bene o in male.

E da Cina e Corea arrivano i primi film interattivi, dove potete partecipare al film come in un videogioco. Riuscirà Disney a crescere ancora, come fa da un secolo a questa parte, e parare il colpo dei nuovi concorrenti? Può permettersi di non scalare più, fermarsi con quello che ha? Scalare non è obbligatorio, semplicemente limita la possibile raccolta di investimenti, ma è un argomento su cui riflettere bene prima di creare un impresa digitale.


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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
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Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro