È il ragazzone bene educato, lo spin-doctor, il consigliori, che mi aveva già sottolineato gli aspetti critici legati al retaggio religioso comune dell’Europa “di razza bianca, cristiana, illuminista e secolarizzata” quando nel corso di una chiacchierata analizzammo i diversi approcci al Natale e al suo significato religioso dei diversi capi di Stato (Zafferano, 11 gennaio 2020). Lui analizza, non parteggia.
La pervasiva sovrastruttura del politicamente corretto impedisce di affrontare, nelle stanze e nei corridoi di Commissione e Consiglio europeo, anche solo il pensiero di poter discutere apertamente del problema che si porrà. Ma, chissà se la gragnuola di colpi che si è avventata sul “giornalismo anglosassone” con le polemiche circa gli opinionisti del New York Times annegati in una piscina di -ism, dal racism al fascism passando per sexism, evocando un’altra dozzina di consimili che impongono il ritmo alle opinioni del new-wasp americano, aprirà l’accesso alle differenze d’idee e all’aperta discussione anche in Europa?
Tutto ruota, nel borbottìo raccolto fra una chiacchiera e l’altra che il distanziamento sociale consente, attorno alla scelta del Presidente turco di restituire il complesso di Hagia Sofia a Istanbul al culto islamico. E il borbottìo è molto sostenuto circa la valutazione negativa delle reazioni dell’Europa in genere – circa l’esilità della reazione vaticana, affidata al “dolore” di Papa Francesco per la decisione: “Penso a Santa Sofia e sono molto addolorato”. Un colpo a salve.
Hagia Sophia in greco significa divina conoscenza; diventa per onomatopeia, Ayasofya in turco. Il superamento della saggezza mostrata da Kemal Ataturk, il laico (in questo oggi rinnegato) e innovatore padre della Turchia moderna, è tornato realtà dal 24 luglio, quando il più grande edificio di preghiera al mondo sarà riaperto ai credenti musulmani. Prima chiesa e poi moschea, poi museo in segno di convivenza e tolleranza, per Erdogan, la riconversione a tempio islamico era diventata una promessa elettorale – e l’ha mantenuta.
Ora, come si direbbe gergalmente, le chiacchiere stanno a zero. La decisione rientra nella legittima sovranità di uno stato e di chi lo guida. Gli effetti a vasto raggio di ogni decisione sovrana hanno un impatto che è morale, che crea e divide opinioni, ma che testimonia, un altro passo verso un processo inevitabile che ha bisogno di fredda lucidità per essere analizzato e raccontato.
La presenza musulmana in Europa conta numeri importanti. Non ci sono aooluti e incontrovertibili; solo analisi, non aggiornatissime, ma con di qualche affidabilità, utilizzate come riferimento comune. Quanti sono i musulmani in Europa? Esclusa la Turchia, almeno 45 milioni, calcolando un incremento conservativo su una cifra di 44 usata negli ultimi 10 anni. Nella sola Unione Europea sono una ventina di milioni. La Russia ha una percentuale di musulmani elevata, le percentuali sulla popolazione raggiungono e superano in alcuni casi il 50% in molti paesi balcanici. Alcune proiezioni disegnano scenari di incremento della presenza islamica nell’Unione di alcuni milioni entro il 2050 fino a uno scenario basato su incrementi lineari di immigrazione e fattori demografici (tradotto, più figli da coppie musulmane) che, abbinate al calo di fertilità dei caucasici e cristiani europei e all’aumento della popolazione anziana, porterebbe i numeri a superare la soglia dei 75 milioni entro i prossimi trent’anni. Senza migrazione netta, il livello previsto era del 7%; con un'alta migrazione, era del 14%.
Come già ricordavo nel mio articolo dell’11 gennaio, il problema di promozione e difesa della way of life europea sta nelle mansioni del Commissario Margaritis Schinas. “Ma certamente non sarà lui a tagliare le unghie a Erdogan per questa decisione”, mi dicono. Del resto, la decisione equivale a un referendum vinto: in poche ore, 3,2 milioni di visualizzazioni del tweet che trasmetteva in diretta l’annuncio di tre minuti e mezzo che ha seguito di quattro ore la diffusione, ancora su Twitter, dello stringato decreto con la bandiera e la firma autografa del Presidente.
Ci ha provato Josep Borrell, lo spagnolo alto rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza, in pratica il ministro degli esteri dell’Unione, successore di Federica Mogherini (oggi approdata con alcuni colpi di gomito politico-diplomatici alla posizione di rettore del College d’Europe di Bruges che forma la tecnostruttura della UE). Borrell, catalano, 73 anni, ha rimarcato come la decisione contenga il rischio di alimentare la sfiducia nei confronti della Turchia e metta in pericolo gli sforzi di cooperazione e dialogo, per concludere: "Vi è stato un ampio sostegno degli Stati Membri per chiedere alle autorità turche di riconsiderare urgentemente e invertire questa decisione". Come si dice qui a Zafferano, fuffa.
Ma a Bruxelles c’è un altro giocatore in grado di mettere un carico sulle diverse situazioni. La Nato ha tardato un po’ ma poi ha lasciato filtrare “irritazione e fastidio” come l’ha definita un diplomatico accreditato in una delle rappresentanze più rilevanti del “Trattato”. Comunque, non c’è stata convergenza sufficiente per una forte dichiarazione ufficiale o per un comunicato stampa. La stringa “Turchia-Hagia-Sofia” non dà risultati nella ricerca avanzata sul sito dell’organizzazione.
I militari non hanno trascorso una bella primavera. Prima i camion russi sbarcati a Milano e Roma da nove Candid (l’ironico nome in codice NATO per l’Ilyushin 76 da trasporto, un gigante lungo 46 metri e con un’apertura alare di oltre 50 e tanto di torretta posteriore in grado di essere armata, come sui bombardieri del 1943-45 americani nelle storie a fumetti de L’Intrepido) con la beffarda scritta “Dalla Russia con amore” e i due cuori con i colori russi e italiani; poi questa seccatura della riconversione a moschea...
Nel primo caso, sedato il celodurismo contrapposto e molto conflittuale dei generali che si sorridono nei corridoi del nuovo palazzo alle porte di Bruxelles, ma si ostacolano a vicenda usando vellutate parole, è uscita una dichiarazione. Tom Wolters, il generale Usa comandante supremo alleato per l’Europa, ritiene in una intervista la decisione italiana di chiedere/accettare gli aiuti russi una “fonte di estrema preoccupazione”. Il grado di Wolters è altisonante, “ma nella struttura della NATO, fra militari, civili, politici e diplomatici è solo uno dei tanti: per esempio di “supremi” come lui ce ne sono altri cinque per diverse aree di competenza” riferisce un insider, “e altri alòti gradi sono davvero infastiditi”. Di fatto però, nella grande emergenza italiana, gli stati nazionali della UE si sono chiusi e non hanno prestato quei soccorsi della prima ora che sarebbero stati necessari e fondamentali; e i militari, che si sono poi convertiti all’assistenza sanitaria, si sono mossi con estremo ritardo e logiche farraginose che con la prontezza e la resilienza hanno poco a che fare. Lo stesso sembra valere per Hagia Sofia e l’incedere dell’islamizzazione della Turchia, funzionale probabilmente a consolidarne il ruolo di primo paese del vicino oriente (e della costa non EU del Mediterraneo?). I falchi sussurrano, e vorrebbero reazioni forti.
In Russia, paese che deve fare i conti comunque con una gran lobby ortodossa al suo interno, si è registrata una reazione seccata del senatore del Consiglio della Federazione e presidente della sua commissione per gli affari esteri, Konstantin Kosachev: “Agli occhi del mondo, sarà vista come una violazione dell’equilibrio religioso”. Ma sono poi bastati pochi giorni per correggere il tiro e permettere alla diplomazia di Putin di classificare la decisione come “affari interni della Turchia”. Israele non la pensa allo stesso modo, e al netto delle bandiere turche bruciate in manifestazioni di protesta di scarso rilievo, i militari di Tel Aviv la vedono molto diversamente, anche se Hagia Sofia non è mai stata nei suoi 1500 anni di storia, una sinagoga.
Quasi un millennio chiesa ortodossa, 500 anni moschea, e quasi 90 un museo splendido patrimonio dell’umanità e mastodontico, prezioso tempio della convivenza religiosa: sarà anche un fatto interno turco, ma intanto la prima riunione di persona dei ministri degli esteri dell'UE dopo il blocco indotto dal coronavirus, “si è concentrato in gran parte sulla Turchia, tra le preoccupazioni sulla sua maggiore assertività regionale” (Bloomberg).
È chiaro che l’Ue non farà voce grossa, concordano molti diplos al Consiglio, ma certamente un passo che privi il paese del suo stato di candidato all’accesso all’Europa (che ancora conserva) “sarebbe auspicato”; mentre c’è chi si spinge fino a intravvedere sanzioni. “Fantasia: ci sono i gasdotti, i corridoi dell’energia, industrie e interscambio, l’appartenenza alla NATO... non scherziamo”. E poi, lapidario: “No tenemos cojones”.
Sostengono altri, che il problema si risolverà da solo. Per esempio qui, con dati pubblicati lo scorso ottobre, si trovano paese per paese, le disponibilità degli Europei ad accettare un musulmano come vicino di casa e, andando oltre, come un componente della propria famiglia. La grande media è che l’83% dei cittadini UE accetta il vicino di casa (il 65% in Italia) e il 66% il parente acquisito (43% in Italia). L’Italia è il paese meno disposto. Belgio, Danimarca, Olanda, Norvegia e Svezia i più aperti.
Rimane comunque la sottile differenza fra musulmani e islam. Si può avere una visione dei musulmani e della pratica religiosa diversa dalle liturgie cristiane e israelitiche, ma conservare un problema, come per molti accade, con l’Islam come ideologia che travalica la religione e i suoi riti; una sfida culturale vera. Dove un po’ di “divina conoscenza” potrebbe tornare utile. Certo, l’incendio doloso nella cattedrale di Nantes non aiuta a mantenere nervi e pregiudizi a posto. Nessuno ha pronunciato, nelle prime ore l’impronunciabile; ma nel paese con la maggiore presenza musulmana in Europa e con radicate sacche di fondamentalismo islamico, il pensiero corre a facili equazioni.