Notizie dagli USA


Tutti a scuola, siamo sicuri?

Il 30% della forza lavoro americana ha figli in età scolare, e rimandare i ragazzi in classe alla fine di agosto è un passo fondamentale per dare impulso all’economia. Trump e la sua amministrazione le stanno provando tutte per costringere tutti gli stati a riaprire le aule di ogni ordine e grado.

L’associazione americana di pediatria ha dato parere positivo: i cuccioli soffrono meno il virus del danno psicologico da distaccamento e di quello metabolico da sedentarietà. Da altri paesi (tranne che da Israele) arrivano indicazioni che gli scolari ammalati non infettano gli adulti come invece gli altri pazienti fanno con il personale medico.
Gli insegnati hanno toccato con mano che la didattica da remoto non può assolutamente sostituire la presenza in aula. Dalle elementari al liceo gli studenti si perdono dopo pochi minuti di video, all’università fanno meglio ma per molte materie serve la vita in classe.
Soprattutto, i genitori stessi non vedono l’ora di tornare in ufficio a riposarsi dal marmocchio iperattivo. Sembra un plebiscito: tutti a scuola. Siamo d’accordo?

Manco per niente.

Con 70.000 nuovi contagi al giorno, specie negli stati del Sud e della costa Ovest, politici e media sono presi dalla frenesia. Passando quattro settimane dal contagio al decesso, con questi numeri occorre preparare nuovi cimiteri alla svelta. O nuovi forni, come in Cina.

In questo istante sappiamo che le maschere servono e la pulizia aiuta, ma gli spazi chiusi e la concentrazione di persone facilitano il contagio. La densità si può dimezzare con due turni giornalieri, e ridurre ulteriormente lasciando parte del corso on-line. E poi possiamo riprendere rimedi antichi. Un secolo fa a New York insegnavano all’aperto per evitare la tubercolosi, come vediamo in questo bell’articolo qui https://www.nytimes.com/2020/07/17/nyregion/coronavirus-nyc-schools-reopening-outdoors.html

Ai primi del ‘900 gli scolari stavano belli imbaccuccati di fronte alle lavagne, con lo scaldapiedi per non congelare le ditina nel rigido inverno. Sappiamo che l’insegnamento all’aperto ebbe successo: oltre ad imparare a leggere e far di conto, quella generazione crebbe bella robusta e diede il meglio di sé nella guerra mondiale.

Purtroppo, al pari dell’innovazione e crescita tecnologica che ha portato tanti miglioramenti da quegli anni ad oggi, di pari passo è aumentata la burocrazia che oggi rende quasi improponibile questa strada, troppo rischiosa.
Oggi potremmo vestire i pupi con abbigliamento tecnico da scalata all’Everest, monitorarli con un app per vedere che non gli venga una linea di febbre o consumino troppe calorie, lasciarli all’aria aperta senza rischiare un eccesso di carica virale e recapitargli la merenda con un drone. Possiamo, ma siamo sicuri?

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Giordano Alborghetti (Bergamo): curioso del software libero, musicofilo, amante del mare
Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Pietro Gentile (Torino): bancario, papà, giornalista, informatico
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Roberto Zangrandi (Bruxelles): lobbista