Se ci fosse invece chi continuasse con “del pelìde (e non pèlide) Achille l’ira funesta” potremmo anche accennare un sorriso per infine annuire di riconoscente approvazione e sorpresa se andasse oltre con: “... che infiniti addusse lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco generose travolse alme d'eroi, e di cani e d'augelli orrido pasto lor salme abbandonò...”. Fatto in greco antico sarebbe davvero un virtuosismo; mentre arrivare a 42 versi, 100 righe, d’un sol fiato accennando anche mosse di recitazione da palcoscenico, una dimostrazione di superiorità mnemonica, di padronanza della vicenda, di chiarezza d’intelletto e di lucida consapevolezza di sé.
L’abbiamo visto fare da Boris Johnson alla vigilia di Natale in un video riproposto nella immane brodaglia della “rete” alimentando discussioni, spregi al nozionismo, allo studio a memoria, alla denigrazione per l’accento non da greco antico di chi è stato ritenuto nell’ordine clownesco e rozzo, in un giorno prefestivo, da sfaccendati, intellettuali e meno.
Per soprammercato, è stato anche (ancora) accusato di parlare a vanvera pronunciando in una specie di grammelot ellenico parole senza senso. Non ho studiato il greco, purtroppo, e non so giudicare. Il video è (era) vecchio di almeno una mezza dozzina d’anni fa, e risponde in maniera esplicita alle aggressioni body&mind shaming verso Johnson andando contro i suoi denigratori laburisti. Questo almeno nelle intenzioni del commediante e twittarolo @Holbornlolz (Old Holborn), un accidente di satiro che twitta raramente (poco più di 250 tweet in 6 anni) ma con quasi 64 mila follower. Il dotto monologo risale infatti al 2013, appena dopo che BoJo lasciò l’incarico di sindaco di Londra, ed è stato ripreso a Melbourne per lo show Big Ideas della ABC, dove ammetteva di recitare il tutto nei momenti di difficoltà – troubles.
Evangelicamente, però, questa è solo la pagliuzza. La trave sta altrove; sempre “in rete”, sul sito ufficiale del governo britannico, e rilanciata da media e twitter. E sarebbe emersa di lì a poco nel suo discorso di Natale.
“Ciao gente, qui Boris Johnson, che si prende un momento per augurare a tutti buon Natale. [...] Il giorno di Natale è innanzitutto una celebrazione della nascita di Gesù Cristo. È un giorno di inestimabile importanza per miliardi di cristiani in tutto il mondo. [...] Oggi, voglio che ricordiamo quei cristiani in tutto il mondo che stanno affrontando la persecuzione. Per loro, il giorno di Natale sarà segnato in privato, in segreto, forse anche in una cella di prigione. Come Primo Ministro, è qualcosa che voglio cambiare. Stiamo con i cristiani ovunque, in solidarietà, e difenderemo il tuo diritto di praticare la tua fede. Quindi, come paese, riflettiamo sull'anno e celebriamo il bene che verrà.” E, dopo avere ringraziato soldati e infermiere, ha raccomandato di non litigare con suoceri e suocere e con nessun altro (per esempio sulla Brexit). Su 18 righe, 8 dedicate alle radici cristiane: un “Gesù Cristo” esplicitato e tre volte il “Natale” con quella radice “Christ-” soppressa da anni dal politically correct per non turbare, discriminare, offendere, rispettare e che ha finito per annegare il Merry Christmas in un anonimo, per molti oltraggioso Happy Holidays. Lo stesso Happy Holidays imposto a commessi, commesse e baristi di negozi a catena (emblematico l’esplicito divieto imposto da Starbucks e riportato dai suoi dipendenti) e di tendenza anche fra moltitudini attorno al mondo.
Elisabetta seconda, piazzata sul trono che le compete a Westminster, con Carlo alla sua destra, aveva comunque terminato il suo discorso dopo alla rielezione di BoJo con poche, stentoree parole: “Membri della Camera dei Comuni, verranno presentate stime di costo per i servizi pubblici, e altre misure saranno poste dinanzi a voi. Prego che la benedizione di Dio Onnipotente possa posarsi sulle vostre decisioni”.
Di qua della Manica, un esplicito Merry Christmas di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, con il biglietto ufficiale di Buon Natale in tutte le lingue dell’Unione, messo in rete dai suoi uffici di comunicazione.
Emmanuel Macron si è defilato, ma la sottrazione all’augurio natalizio è stata annotata quasi come codardìa. Angela Merkel preferisce un discorso di fine anno, ma formula di norma auguri per la “notte sacra”, etimologia del Natale tedesco, e “feste benedette”. Felipe VI di Borbone in versione hipster brizzolato ha augurato Feliz Navidad a cui ha aggiunto una dozzina di minuti di messaggi ottimistici e unificanti. Il Re Philippe dei belgi ha reso omaggio a sua moglie nel ventennale del matrimonio indossando la stessa cravatta del giorno del fidanzamento ufficiale che precedette le nozze, due mesi più in là, nell’inverno del 1999. Sullo sfondo, un arazzo fiammingo del XV e poi chiaro riferimento al Natale come momento di riunificazione e gioia in famiglia, fiducia nei giovani e coscienza del proprio dovere. Con un pensiero agli ultimi; poi le note della Brabantina e dissolvenza.
Dal Quirinale, un tweet che è diventato inanimato e fisso sullo stellone floreale illuminato nel cortile d’onore su cielo al crepuscolo, ma che nella versione completa del 24 dicembre comprendeva una lunga sequenza su un moderno presepe con bambinello dorato, una carrellata nei saloni interni, un albero di Natale da competizione. Lo stesso, con tonalità diverse, pressoché dappertutto in Europa.
Insomma, in genere, una marcatura con evidenziatore giallo fluo sulle radici cristiane che non passa inosservata e che in via discreta, ma tenace, riporterà la questione del riferimento religioso della cultura europea a fare capolino in agenda.
Del resto, appellarsi all’Onnipotente, ai Santi e ai simulacri della liturgia, dal rosario al cuore immacolato di Maria e baciare crocefissi, reca tornaconti politici. “E si potrà essere rozzi, o snob quanto vuoi, ma anche gli ignavi e i sedicenti atei sanno far di conto e le cifre dei sondaggi le vedono”, come spiega il mio interlocutore che di mestiere fa lo spin-doctor, o suggeritore, nella segreteria di un’influente “famiglia politica” che siede nel parlamento europeo.
Non passiamo in second’ordine il portafoglio di Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione designato alla promozione dello stile di vita europeo. Uomo di Nuova Democrazia nato a Salonicco (ancora tifa per la sua squadra di calcio) ex parlamentare europeo, funzionario di Commissione e portavoce capo della Commissione con Jean Claude Juncker nella passata legislatura. Ha moglie asturiana conosciuta quando frequentavano entrambe il College d’Europe di Bruges, che forma buona parte della tecnocrazia comunitaria. Von der Leyen lo aveva identificato per il ruolo forte di “protettore della way-of-life europea”, prima che i socialisti le imponessero di cambiare il nome al portafoglio ed evidenziarne la “promozione”.
Lo spin-doctor: “Rileggiti gli ultimi tre punti dell’incarico a Margaratis...”. Eccoli: coordinare i lavori per migliorare l'integrazione dei migranti e dei rifugiati nella società; dirigere il dialogo della Commissione con chiese e associazioni o comunità religiose e con organizzazioni filosofiche e non confessionali; dirigere la lotta della Commissione contro l'antisemitismo, attingendo alle competenze del team dedicato della Commissione sull'antisemitismo.
Un interprete formato all’Università Aristotele di Salonicco, non privo delle reminiscenze delle controversie sul preambolo della (fallita) costituzione europea circa le radici giudaico-cristiane dell’Unione si troverà quindi a dar corpo all’articolo del Trattato di funzionamento della UE che richiede alle istituzioni di dialogare con chiese, religioni e organizzazioni filosofiche. Facendo convivere questo mandato con la gestione dell’immigrazione nella salvaguardia/promozione dello stile di vita europeo consolidato.
Vivremo tempi interessanti e il riaprirsi del dossier che mette in relazione l’Homo Europaeus e i dilemmi del multiculturalismo, del multilinguismo e il superamento, come dice Schinas, del “noi-contro-loro”. Nonostante non possa essere codificata strettamente, una cultura europea esiste ed emerge anche se gli stereotipi nazionali, come correnti di risacca, tornano a intervalli più o meno regolari. Certamente, nell’etica riformata di buona parte del centro-nord, che da secoli convive con l’indulgente penitentiam del resto del continente, la visione unificante di una identità di fondo sta ancora in quel “Christmas” e nell’echeggiare della Natività. Difficile metterlo in discussione. Anche per chi ha superato sé stesso lanciando, a Londra, lo sberleffo alternativo di un “Merry Brexmas”.