Il Customer Service nasce attorno al 1760, dopo la rivoluzione industriale, quando il cliente non ha più un artigiano da cui tornare per chiedere informazioni o lamentarsi del manufatto, e deve capire a chi chiedere, visto che nessuno conosce completamente prodotto e processo produttivo. Il servizio di supporto clienti accelera con l’arrivo del telefono, che evita di doversi recare dal produttore ogni volta, e progredisce ancora negli anni ’80 quando tecnologia ed outsourcing consentono alle aziende di spostare i loro call center in India, Filippine e Sud America. Poi arriva internet ed Amazon, e gli americani si abituano a rispedire indietro tutto quello che non gli piace, per ricevere un prodotto nuovo o un rimborso completo.
In passato ho lavorato per Zappos, azienda Amazon che in un solo centro di distribuzione ha quattro milioni di scarpe e gestisce la spedizione ed il ricevimento di circa 20.000 paia all’ora. Se ordini entro le cinque di pomeriggio, Zappos ti garantisce la consegna entro il mezzogiorno del giorno successivo, in qualsiasi località dell’America continentale. Delle 10.000 paia che entrano ogni ora, il 37% sono restituzioni cliente: chi ha cambiato idea, chi le ha provate e subito restituite intonse, chi ne ha preso tre paia per restituirne due, chi ci ha corso una maratona e ne vuole un paio nuovo a spese dell’azienda.
Anche alcune catene di supermercati sono famose per la cura del cliente: da Trader Joe’s i commessi ti intortano con storie degne di Hollywood per invogliarti verso questo yogurt o quella provola, i cassieri ti preparano la borsa con cura meticolosa, ed in parcheggio trovi ancora il ragazzo che ti porta la spesa in macchina. Asfissiante? Per alcuni si, ed infatti altre catene assumono orsi marsicani per non costringerti a dover parlare e sorridere mentre fai la spesa.
Il problema di questa corsa a raccontare storie, chiedere ogni dettaglio, esser disponibili giorno e notte a rispondere alle domande più idiote e ritirare merce usata, ci ha viziati. Non potevo credere nel vedere la mamma di un adolescente riportare la tuta da sci da LLBean, dopo averla comprata tre anni prima quando il pupo aveva nove anni, e lamentarsi che gli stava stretta. La commessa ha balbettato: “mi sembra il ragazzo sia cresciuto, sarà per quello che non riesce a chiudere la zip?”. La cliente pretenziosa è uscita con una tuta nuova della taglia giusta, gratis.
Questi comportamenti fuori le righe si riscontrano più spesso presso dove hanno risparmiato nella ricerca del personale, nella definizione delle corrette procedure e sistemi informativi, e quindi non sono al livello delle aziende citate sopra. Così ti trovi in un autonoleggio, che magari sbaglia a darti la macchina giusta e ti fa perder tempo nel cambiarla, e senti lamentele al limite della violenza verbale, se non fisica. Se poi il cliente spiattella tutto sui social media, il danno è importante.
Questa è una delle differenze importanti tra America ed Europa, che devo spiegare sempre bene alle aziende che provano ad aprir bottega da questa parte. Il cliente americano è disposto a pagare un prezzo alto, a negoziare solo un minimo sconto sull’acquisto, ma deve essere trattato coi guanti di velluto prima, durante e dopo aver comprato. Specialmente il post-vendita, è fondamentale: vendere ad un cliente esistente è cinque volte più facile (e meno costoso) rispetto a trovare un nuovo cliente, per cui trattenerli quasi ad ogni costo è imperativo.
Personalmente, trovo che avere le scarpe sull’uscio di casa in poche ore, o una camicia garantita a vita, siano uno spreco eccessivo. È lo stesso ragionamento che mi fa camminare per andar a prendere la pizza, piuttosto che starmene sul divano mentre il rider pedala avanti ed indietro. Tuttavia, l’evoluzione della cura del cliente ci ha portato ad aspettative elevate, e la concorrenza del mercato non lascia spazio a chi fa male questo mestiere.